Sopra e sotto: i ragazzi del 9° al Varignano nel 1974 per la frequenza del Corso ARO/ARA.

Piero, nella foto sopra, è il 6 in piedi da sinistra.

Sabotatori del 9° Col Moschin al Varignano per la frequenza del Corso ARO/ARA

Premessa

Il protagonista del racconto che leggerete di seguito è Piero, un Incursore del 9° Reggimento “Col Moschin”. Piero è tornato con la memoria al 1974 quando, giunto al Varignano, vive l’avventura del “Corso ARO/ARA”.

Il suo è un racconto che riesce, con semplicità, a descrivere le paure da affrontate per il superamento del corso.

Il “Corso ARO/ARA” viene svolto al Gruppo Scuole di COMSUBIN ed ha oggi una durata di 17 settimane delle quali 12 alla Scuola Incursori e 5 alla Scuola Subacquei.

Lo scopo è quello di abilitare i frequentatori all’impiego di apparecchiature ad ossigeno fino alla profondità di 12 metri e apparecchiature ad aria fino alla profondità di 40 metri, le cui finalità sono quelle di fornire le nozioni, le capacità e le tecniche per condurre azioni di sabotaggio ad infrastrutture posizionate in acque interne (fiumi, laghi).

Negli anni ’70 il Corso ARO/ARA aveva una durata di 12 settimane delle quali 10 alla Scuola Incursori e 2 alla Scuola Subacquei, ed era aperta a personale proveniente dal 9° Reggimento “Col Moschin”, chiamati allora “Sabotatori” e personale dei Lagunari dell’Esercito.

Oggi il Corso ARO/ARA è aperto anche a personale Carabinieri del G.I.S., personale della Polizia di Stato N.O.C.S. e Incursori dell’Aeronautica R.I.A.M..

Per il personale Lagunari dell’Esercito è stato individuato, sempre a COMSUBIN, il più adeguato Corso S.D.O. (Sommozzatori Demolitori Ostacoli) strutturato per il personale del Reggimento San Marco, reparto con similari caratteristiche.

Sono certo che il racconto di Piero sarà gradito da tutti voi e renderà onore a tutti coloro che negli anni hanno varcato la soglia del Varignano e affrontato “la banchina” della Scuola Incursori.

Buona lettura!

Il corso sub

1974 inizia la crescita

Inizia l’iter per avere quelle capacità richieste dai “sabotatori”, dopo quella da paracadutista, quella da guastatore, iniziano i corsi al di fuori del reparto. Il primo, quello più ambito, quello più sconosciuto, quello più difficile è il corso per l’impiego delle apparecchiature ad ossigeno in ambiente subacqueo. Quattro mesi al Comsubin, in un ambiente nuovo, fianco a fianco con i nostri cugini della marina.

Già le visite a cui ti sottopongono, la dicono lunga su quello che dovrai affrontare, devi essere al massimo, al top della forma fisica per poter passare indenne ad un corso in un elemento nuovo come l’acqua. Siamo tanti, siamo giovani, pieni di belle speranze.

Il Varignano

Conosco gli “incursori” per aver letto i libri di quelli che ne hanno scritto la storia, ma arrivare all’alba con la bruma marina che avvolge il piccolo promontorio proiettato in mare, simile alla prua di una grande nave, lascia con il fiato sospeso, sovvengono alla mente le storie lette, gli uomini che da quì sono passati, le loro imprese, i loro sacrifici. Oltre ai nostri inquadratori, ci affidano alle cure di tre istruttori, incursori anziani, non dobbiamo fare altro che assorbire quanto loro ci trasmettono, giorno per giorno, momento per momento, di giorno come di notte.

Le prove in vasca, il tuffo in apnea in un tubo verticale alto come una casa, vogliono testarci, rendersi conto se abbiamo i minimi e poi via, bardati di tutto punto, su un trampolino alto cinque metri con il capo che ci urla di tuffarci di sotto. Facile…

Mica tanto….un tuffo da cinque metri, quando non sai cosa sia un tuffo non è semplice da affrontare, se poi ci metti che di fatto, non sai nuotare rende tutto più complicato. Non è vero, sapevo nuotare, se il metro di raffronto erano le poche decine di metri che riuscivo a mettere assieme per attraversare il fiume Tirso che, si snodava tranquillo a qualche chilometro dalla sua sorgente, che per noi giovinastri costituiva fonte di divertimento e di pesca a mani nude, sotto I grandi massi di granito grigio, se questo era il metro….allora sapevo nuotare.

Capo Mullanu e il nuoto

Ma tra le prove di ammissione, il nuoto non figurava, se non sapevi nuotare, capo Mullanu ti legava una sagola attorno alla vita, caso mai non dovessi riaffiorare. Al termine della prova di ardimento venivano costituite “le coppie” elemento cardine su cui veniva costruito il tutto. Mi accorpano a un siciliano verace, Vincenzo da Regalbuto, paesone dell’entroterra siciliano alle pendici dell’Etna, con lui mi legavano tante cose, oltre che essere dello stesso corso, eravamo “montanari” nel senso che I nostri paesi posti in due isole differenti, erano accomunati dalla stessa quota sul livello del mare , peccato che per i “terragnoli” non sempre il rapporto con l’acqua sia dei migliori. Uomo verace Vincenzo, sincero, un amico. Iniziano gli addestramenti.

Farci capire l’uso della bussola sott’acqua, nel mare antistante il Varignano o Le Grazie è stata un’impresa ardua, il materiale ferroso disseminato sui fondali costringeva il capo a rapidi richiami in superfice, per consentirci un veloce riallineamento.

Ricordo con affetto, come fosse ieri, la straordinaria impressione e sorpresa avuta alla prima notturna, appena messa la testa sott’acqua, la indescrivibile visione della fosforescenza marina, effetto, per me completamente sconosciuto. Ricordo anche l’impressione sgradevole avuta subito dopo, quando toccando il fondo limaccioso, ho sollevato una nube di fango che ha oscurato perfino la bussola posizionata sul polso. Ma lo spirito era forte, la Storia in cui eravamo immersi ci coinvolgeva totalmente e ci dava lo sprone per proseguire nonostante le difficoltà.

Le notturne preseguono serrate, le distanze aumentano, i siti cambiano, ci spostiamo verso il Magra, Punta Bianca, la spiaggia di punta Corvo, mille metri in immersione ad andare, altrettanti al ritorno.

Problemi di assetto

Tuffo dalla barca, mascherino, boccaglio, galleggiante illuminato, ci allontaniamo, Vincenzo guida la coppia, prende I riferimenti, l’angolo di bussola, facciamo l’assetto…. abbiamo difficoltà, troppo pesanti, vai di ossigeno, troppo leggeri…torniamo a pelo d’acqua, per qualche minuto facciamo le “boatte”, poi volenti o nolenti andiamo sotto, ma è una tortura, su e giu….su e giu….il Capo ci richiama in superficie, riprendiamo I riferimenti, torniamo giù, strusciamo sul fondo….il tempo passa, ancora “campana” ancora in superficie….il Capo si spazientisce…..”allora stasera cosa avete???”altro riferimento, altro angolo di bussola, ancora giù, I minuti passano inesorabili, l’ansia si impadronisce di noi, risaliamo …..una pagaiata sulla testa ci accoglie, inesorabile.

Ancora giù, la disperazione si fa strada, ma imperterriti continuiamo, iniziamo una lenta risalita verso la spiaggia che ci accoglie amichevole, arriviamo buoni ultimi. Appena fuori dall’acqua ci abbandoniamo esausti sui ciottoli, chiudiamo il boccaglio, via il mascherino, l’aria salmastra e frizzante della notte penetra nei polmoni come un toccasana, le difficoltà si attenuano, spariscono.

C’è poco da ridere

Al mio fianco, una risata improvvisa, inaspettata squarcia la notte, mi coglie di sorpresa, mi volto e al chiarore del cielo stellato mi accorgo che Vincenzo sguaiatamente ride. Nell’affanno dovuto allo sforzo, non comprendo, non realizzo cosa succede.

Con voce bassa cerco di calmarlo, “Vincenzo, piano, così il Capo ci sente” le mie parole, anzichè calmarlo, alimentano le risate…..”il capo ahahahahah”….Notando il vociare una barca si avvicina alla riva, una voce irata ci redarguisce e chiede spiegazioni, rispondo “Capo è da quando è uscito che ride”

……una frazione di secondo e vedo vicino alla barca levarsi degli schizzi, un tramestio, e il Capo come Venere, esce dalle acque, secondi, frazioni, due dita si infilano nel collarino di Vincenzo, con gesto violento lo strappano, mani esperte al buio levano l’autorespiratore, il camisaccio, io assisto incredulo alla scena, ho la cima di coppia ancora agganciata al braccio sinistro di Vincenzo, la levo, intorno nessuno capisce cosa stia succedendo, la barca si accosta, Vincenzo viene issato a bordo ancora in preda a una irrefrenabile risata. Il capo mi cazzia brutalmente…..”ma non ti sei reso conto di niente? Non lo vedi che è in iperossia? Cosa aspettavi che ti trascinasse con lui? ” Io sono incredulo, interdetto, non capisco come potessi avvedermi della situazione, come da un momento all’altro il mio fratello, perdendo I sensi e il boccaglio, potesse trascinarci tutti e due nel baratro.

La barca viene inghiottita dalla notte, solo l’ennesima risata risuona lontana.

Molte domande, nessuna risposta

Mi affidano un’altro “coppio”, rifaciamo a ritroso il percorso, ci issiamo sulla barca, chiedo notizie, nessuno mi risponde, la pena mi invade il cuore, prende il sopravvento, un groppo alla gola mi prende e non mi abbandona più, in quel momento ho capito che la vita è veramente appesa a un filo, a una cima, li ho capito l’importanza della conoscenza e della fortuna. Mestamente siamo rientrati in rada. Mi sono precipitato a chiedere notizie, nessuna risposta. Quella notte sulla branda di teli non sono riuscito a prendere sonno, solo all’alba morfeo ha avuto piètà dei miei incubi.

Ancora una volta la bandiera sale sul pennone, mi precipito in infermeria, solo dopo insistenze riesco a vedere Vincenzo che sereno, racconta…. ricorda….ricorda di essersi immerso l’ultima volta, dopo l’ennesima pagaiata sulla testa e poi…..più niente, solo le bianche lenzuola dell’infermeria.

Quel corso lo abbiamo terminato, con caparbietà, con ostinazione, l’episodio è stato ben presto rimosso. Siamo rientrati al reparto, abbiamo fatto altro, roccia, lanci…. poi il mio amico una mattina mi dice che ci lascia, vuole seguire le sirene che chiamano, vuole seguire i tanti altri che hanno intrapreso altre strade, la sua sarà quella delle immersioni, degli alti fondali….. ripensando a quella notte di qualche anno prima rimango incredulo, felice, ma incredulo.

Ho seguito le sue gesta riportate da altri amici, due settimane con 150 metri di acqua sopra la testa, l’impossibilità di risalire in superficie, tutti con i timpani andati, Lui, da solo a svolgere il lavoro di tutti. Il mistero della vita….Vincenzo se nè andato, non ho mai saputo come, un mistero, come la sua vita. Ovunque tu sia un grande abbraccio amico mio.

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