Il Siluro a Lenta Corsa della Decima MAS

[…] Il primo esemplare del nostro apparecchio è ormeggiato sul bordo della scalea di pietra che s’affonda nelle acque scure del bacino di carenaggio Nord, il più grande di tutti. La porta del bacino è chiusa: per estrema misura di sicurezza è stato disposto che la prima navigazione subacquea dell’S.L.C. avvenga in acque chiuse. “Così sarà più facile ripescare i corpi”, scherza macabramente il capo dei palombari[…]

[…] E’ arrivato il gran giorno. Dopo quattro mesi di lavoro siamo finalmente in condizioni di mostrare almeno le capacità di manovra dell’apparecchio. Mentre si concludono gli ultimi preparativi, con la prova dei respiratori e delle maschere, arriva l’ammiraglio Falangola comandante generale dei sommergibili. E’ solo. Siamo pochi anche noi ad accoglierlo, siamo pochi al battesimo, ma meglio così per ovvie ragioni di sicurezza. Scendiamo le scalette di pietra immergendoci fino al petto… saliamo a cavallo dell’apparecchio; sono al posto del pilota. Tesei è seduto dietro di me e sta mollando la cima d’ormeggio… Affinato l’assetto con un leggero appesantimento della cassa prodiera vedo l’acqua sfiorare i miei occhiali… provo il timone di direzione mettendolo tutto alla banda. L’apparecchio risponde docile e pronto compiendo un’ampia curva verso il centro del bacino. Man mano che ci allontaniamo dalla sponda richiamo la “cloche”, poi la spingo lentamente a scendere. In breve sono sott’acqua. Le acque sono scurissime, la visibilità quasi nulla. I nostri strumenti fosforescenti appaiono però chiaramente sul fondo del quadro trasparente. Mentre scendiamo seguo la quota al manometro di profondità. Due, quattro, sei, otto metri; abbiamo poco più di tre metri per andare a cozzare contro qualche taccata sul fondo. Ritiro dolcemente la “cloche” e la nostra prima discesa verso il fondo è finita. Riprendo a salire… accosto verso il centro del bacino mentre continuiamo a salire lentamente. Emergiamo: rivolgo involontariamente lo sguardo verso il gruppo degli spettatori. Corrono agitati nella nostra direzione alzando le braccia ed i berretti in segno di saluto… aumento rapidamente la velocità fino al massimo, salgo, scendo, accosto a destra e a sinistra come il pilota di un aereo acrobatico su in alto nel cielo… Ogni tanto ritorno in superficie per controllare la posizione e poi di nuovo a scendere, salire, come inebriato. Teseo mi fa ripetuti cenni di assenso…Atterriamo sulla scalea opposta e ci scambiamo il posto. Ripartiamo e poco dopo siamo sul fondo. Fermando le eliche ci posiamo con la massima dolcezza. Scendiamo dall’apparecchio per controllare il nostro assetto: siamo entrambi molto pesanti… Il posto di secondo uomo, pur senza le soddisfazioni della guida, ha i suoi vantaggi. Posso seguire un’infinità di dettagli… ad un certo punto mi accorgo che se metto fuori una mano aperta nel senso del moto, l’apparecchio accosta subito dalla parte stessa mettendo in difficoltà Tesei che non sa spiegarsene il perché[…]

Notte del 26 ottobre 1935

Tratto da TESEI E I CAVALIERI SUBACQUEI di Elios TOSCHI

Primo prototipo Semovente Tesei

 
Elios Toschi

Era il 1935 quando due Capitani del genio Navale, Teseo TESEI ed Elios TOSCHI (ambedue direttori di macchina su sommergibili del tipo “H” del 1° Gruppo di base alla Spezia), cominciarono a lavorare su di un’idea che Tesei aveva avuto fin dal 1927 quando ancora frequentava l’Accademia Navale.

L‘idea, semplice ma allo stesso tempo rivoluzionaria, consisteva nel trasportare una carica esplosiva sotto lo scafo di una nave nemica ormeggiata nelle acque tranquille di un porto. Per fare ciò, due uomini, a cavalcioni di una specie di siluro e muniti di un qualche tipo di autorespiratore subacqueo autonomo, dovevano essere rilasciati nelle vicinanze del porto nemico, infiltrarsi all’interno di esso e applicare la carica esplosiva capace di affondare il bastimento.

Fu, come detto, nell’ottobre 1935, dopo aver ottenuto il benestare dello Stato Maggiore Marina, che i due ingegneri iniziarono a dar vita alla loro idea. Da normali siluri da 533 mm, utilizzando anche materiali di scarto (come il motore elettrico di un ascensore), ridisegnarono completamente la testa, il corpo principale e la coda, inserendo timoni di quota e di direzione maggiorati nonché tutto l’attrezzatura e la strumentazione necessaria per l’assetto e la navigazione subacquea di questo strano mezzo. Erano nati i “semoventi Tesei” successivamente meglio conosciuti come SLC , Siluri a Lunga Corsa (alcune fonti anche Siluri a (di) Lenta Corsa) o maiali, ma soprattutto era nata una nuova forma di guerra marittima, capace di sconvolgere per sempre le tradizionali forme di lotta sul mare.

Il “maiale”, in particolare quello utilizzato durante la seconda Guerra Mondiale, aveva le seguenti caratteristiche di massima:

Lunghezza fuori tuttom 7,30
Diametro del corpo cilindricom 0,53
Altezza massima (esclusi operatori)m 1,30
Larghezza massima (alle staffe)m 0,90
Peso totalekg 1.400
Potenza motoreHP 1,6
Velocità massimacirca 3 nodi
Autonomiacirca 15 Mgl alla velocità di 2,3 nodi
Schema semovente Tesei

Vediamo ora quali erano i componenti principali di un Siluro a Lunga Corsa. Partendo dalla prora, il semovente era costituito dalla Testa Esplosiva, dalla Testa di Servizio, dal Corpo Centrale e dalla Coda.

TESTA ESPLOSIVA (o testa di manovra)

La testa era costituita da un cilindro che conteneva circa 230 kg di esplosivo Tritolital. Il cilindro, staccabile dal resto del “siluro”, aveva l’estremità anteriore arrotondata per renderla idrodinamica e alloggiava le spolette meccaniche ad orologeria per lo scoppio della carica, nonché i golfari per la sospendita della carica sotto lo scafo della nave nemica.

La testa era mantenuta in posizione sul corpo centrale dell’SLC mediante una braga munita di galletti filettati che venivano svitati al fine di allentare la braga e consentire il distacco della carica esplosiva dal resto dell’apparecchio. Negli ultimi modelli di SLC la braga venne eliminata e sostituita con un lungo perno centrale a vite che attraversava longitudinalmente la testa stessa e che poteva essere bloccata o sbloccata agendo su una grossa “farfalla” posta sull’estremità anteriore. Infine furono realizzate teste con due cariche esplosive per l’attacco a navi mercantili. Le due cariche erano separabili individualmente e avevano spolette ad orologeria indipendenti.

TESTA DI SERVIZIO

La testa di servizio aveva forme arrotondate nella parte anteriore per agevolare la navigazione dopo che la testa esplosiva era stata distaccata. Essa conteneva la cassa assetto di prora e tutto il complesso dei comandi per il controllo dell’apparato di propulsione.

CORPO CENTRALE

Nel corpo centrale, internamente, trovavano posto gli elementi delle batterie di accumulatori con i relativi collegamenti elettrici, il motore elettrico e la pompa esaurimento casse assetto.

Nella parte esterna del corpo centrale si individuavano tutte le facilitazioni e le attrezzature per la condotta dell’apparecchio. In particolare, a partire da prora si individua: un frangionde – inizialmente in celluloide trasparente sostituito successivamente da lamierino di metallo -, che aveva il compito di proteggere il posto di pilotaggio ed il cruscotto.

Il cruscotto, detto anche cassetta strumenti, era un pannello a tenuta stagna che conteneva un profondimetro, una bussola magnetica tipo “Lazzarini”, un orologio, un voltmetro, due ampérometri ed una livella a bolla d’aria per il controllo dell’assetto longitudinale.

Testa esplosiva di un SLC

Testa esplosiva dell’SLC

Junio Valerio BORGHESE

Il Comandante della Decima Flottiglia MAS
Principe Junio Valerio Borghese

E’ J. Valerio BORGHESE, Comandante della Xa Flottiglia MAS, che attraverso il suo libro “Decima Flottiglia MAS, dalle origini all’armistizio” ci regala una chiara spiegazione di quali furono le spinte che portarono alla nascita della nuova, rivoluzionaria arma, capace, come detto, di cambiare per sempre le tradizionali forme di lotta sul mare:

[…] 2 ottobre 1935. L’Italia si è mossa verso l’Africa Orientale. Da un momento all’altro gli eventi potrebbero precipitare. Se anche non siamo pronti e se la prospettiva di uno scontro con la flotta inglese, la più forte del mondo, può essere preoccupante, non importa; ogni ufficiale, ogni marinaio è al suo posto di responsabilità e di dovere.

Per narrare la storia dei mezzi d’assalto e le ragioni che li originarono debbo risalire, più che ai precedenti dell’altra guerra, a questa data: perché fu appunto in conseguenza degli avvenimenti minacciosi di quei giorni che si impose la necessità di realizzare la nuova arma.

Come avrebbe potuto l’Italia resistere al tentativo inglese di piegarla con la forza e col peso della sua schiacciante flotta? In una guerra aereo-marittima, qual era quella che incombeva, le nostre possibilità erano scontate in anticipo: immensa la sproporzione fra le relative capacità di produzione industriale; immenso il divario nelle possibilità di rifornimento. Ci saremmo trovati rinserrati nella nostra piccola e scomoda penisola, costretti in breve tempo alla fame dal blocco inglese.

Come uscirne? Ed ecco farsi strada questa idea: occorre creare uno strumento di distruzione il cui impiego improvviso e tempestivo provochi “una forte riduzione iniziale della forza navale nemica con azioni di sorpresa, basate sulla novità del sistema e sulla decisione degli attaccanti nei primi giorni di guerra”.

Qualche cosa di nuovo, di insospettato, di rapida costruzione, di impiego immediato che, portando la distruzione nel campo nemico fin dall’inizio delle ostilità, ci metta in grado di affrontare la lotta in condizioni di parità di forze o, per lo meno, in condizioni di minor svantaggio. Un’arma la cui forza consista nella sorpresa, cioè nel segreto sulla sua esistenza: ed il cui impiego debba essere pertanto adottai in massa, e contemporaneamente sui vari obiettivi, perché, scaduto il segreto, le possibilità saranno infinitamente ridotte mentre l’impiego diverrà assai più difficile e rischioso…

Inutile dire che questo nuovo, segreto strumento altro non era che il Siluro di Lenta Corsa di Tesei e Toschi.

Ma perché il Comandante fa risalire al 1935 la genesi della storia dei mezzi d’assalto italiani? E perché è così pessimista nei confronti delle possibilità della Marina Militare italiana di sostenere uno scontro con la Marina inglese?

Siamo negli anni ’30, gli anni dell’espansionismo imperiale voluto dal governo di Benito Mussolini che aspirava alla ricostituzione di un impero, sullo stile del più grande impero di tutti i tempi: quello romano. Erano gli anni in cui Gran Bretagna e Francia possedevano importanti imperi in Africa, così come molte altre nazioni europee.
E’ il 2 ottobre 1935 quando, dal balcone di palazzo Venezia, Mussolini proclama alle folle la guerra all’Etiopia.

Ma le mire espansionistiche italiane hanno già provocato delle importanti reazioni. Il 10 settembre 1935, allo scopo di far desistere gli italiani dai loro intenti, gli inglesi inviano in Mediterraneo la Home Fleet quale rinforzo alla Mediterranean Fleet. Ora questa può apparire una cosa da poco conto, ma in realtà ciò comportò un aumento di oltre cento navi da guerra di tutti i tipi nel Mediterraneo, portando a circa 800.000 tonnellate il potenziale navale inglese disponibile per azioni offensive contro la Penisola italiana, la Regia Marina ed i traffici mercantili nazionali con l’oltremare.

E quale era la situazione della controparte italiana? Ce lo racconta l’Ufficio Storico della Marina attraverso il suo libro “I MEZZI D’ASSALTO“:

La Marina italiana non disponeva, nell’autunno del 1935, di alcuna nave da battaglia efficiente in grado di contrastare le unità della flotta inglese. Le due corazzate classe Cavour erano entrate in cantiere nel 1933 per essere sottoposte a radicali lavori di trasformazione e le due corazzate classe Duilio, con la loro struttura superata e le vecchie artiglierie da
305 mm, non potevano certamente fornire un apporto considerevole per bilanciare la schiacciante superiorità inglese in fatto di grandi navi da battaglia. Le prime due unità di linea classe Vittorio Veneto erano state impostate il 28 ottobre 1934 cosicché la spina dorsale della flotta italiana risultava, a conti fatti, formata dai sette incrociatori pesanti classe Trento e Zara, i Diecimila, che con il loro armamento principale costituito da cannoni da 203 mm non avrebbero mai potuto rappresentare una seria minaccia per le corazzate inglesi armate con pezzi da 381 mm…

Non è difficile intuire che per i militari italiani la situazione è difficile. Mussolini ha giocato le sue carte puntando sull’incapacità della Società delle Nazioni (l’ONU dei giorni nostri) di riuscire ad imporre un embargo serio all’Italia, convinto invece che le minacce degli inglesi, alla fine, si sgonfieranno come una bolla di sapone.

In effetti nella tarda primavera del 1936 la crisi si attenua e la relativa distensione internazionale che ne seguì ebbe come diretta conseguenza una perdita di interesse per i mezzi d’assalto da parte dello Stato Maggiore; con una decisione che i successivi avvenimenti avrebbero dimostrato quanto mai inopportuna, i prototipi dei semoventi vennero quasi subito accantonati in magazzino, seguiti poco dopo anche da quelli dei motoscafi esplosivi.

Fu solo sul finire del 1938, in previsione di un probabile deterioramento a breve-medio termine delle relazioni internazionali, che vennero ripresi gli studi e gli esperimenti relativi ai mezzi d’assalto. Era la vigilia dello scoppio della seconda Guerra mondiale.

Il posto di pilotaggio comprendeva anche la timoneria; essa era composta da un volantino di generose dimensioni il quale combinando i movimenti tipo cloche di aereo, agiva sui timoni poppieri di quota e di rotta attraverso dei frenelli in cavetto metallico. Completavano infine il posto di pilotaggio il volantino calettato su un reostato per la regolazione della velocità del motore elettrico, i comandi che agivano sulle pompe delle casse assetto ed un volantino che comandava un rubinetto a più vie per regolare la mandata di acqua alle casse assetto e per affinare l’assetto generale dell’apparecchio mediante il travaso di acqua dalla cassa di prora a quella di poppa e viceversa.

Subito a ridosso del posto di pilotaggio era ricavato il sedile sagomato del primo operatore, che era deputato alla guida dell’apparecchio.

Il sedile del pilota era separato da quello del secondo operatore da una struttura che conteneva la cassa della rapida e le relative bombole di aria compressa caricate a 200 atmosfere. La rapida veniva allagata mediante una leva sistemata sul lato sinistro della cassa stessa, la quale agiva direttamente su una valvola a fungo, denominato sfogo, posto sul cielo della cassa rapida; lo sfogo terminava con un corto tubo corrugato in gomma.

Per l’esaurimento veloce della cassa, ovvero per dare all’apparecchio un consistente aiuto al galleggiamento in situazioni di emergenza, si “sparava” al suo interno mediante un rubinetto e dopo aver chiuso la valvola a fungo, l’aria compressa contenuta nelle due bombole.

Posto di pilotaggio di un SLC

Posto di pilotaggio dell’SLC

 

La cassa rapida dell’SLC

Chiudeva il corpo centrale dell’apparecchio, subito alle spalle del sedile del secondo operatore, una struttura metallica destinata ad ospitare un autorespiratore di emergenza, un tubo stagno contenente viveri ed una “cassetta attrezzi”.

La cassetta attrezzi era costituita da una serie di attrezzature speciali:

  • alzareti, ovvero un piccolo paranco destinato al sollevamento delle reti messe a protezione dei porti
  • tagliareti, ovvero una grossa cesoia, inizialmente azionata a mano, successivamente sostituita da una ad aria compressa
  • sergenti, speciali morsetti a vite che venivano utilizzati per fissare la carica esplosiva alle alette anti rollio delle navi
  • ascensore, costituito da un semplice cavetto avvolto su un pezzo di legno che, una volta srotolato, consentiva all’operatore di raggiungere la superficie senza perdere il contatto con l’apparecchio

CODA

Oltre che costituire la cassa assetto poppiera, la coda era attraversata longitudinalmente dall’asse dell’elica. Sull’esterno era fissata un’armatura che comprendeva una specie di gabbia per la protezione dell’elica e gli attacchi dei timoni verticali e orizzontali. Questi ultimi erano sistemati a poppavia dell’elica e, come detto, erano collegati ai relativi comandi a mezzo di un sistema di pulegge di rimando e di frenelli in cavetto metallico.

 

Parte poppiera dell’SLC

Cassetta attrezzi di un SLC

Cassetta attrezzi dell’SLC

Come veniva sollevata la rete parasiluri dagli operatori degli SLC

Tecnica di sollevamento della rete para siluri

Nell’immagine a lato la sequenza di attacco di un SLC

A partire dal quadro in alto a sinistra in senso orario:

  • il pilota (primo operatore) porta l’apparecchio a contatto con lo scafo dell’obiettivo; il secondo operatore aggancia il primo “sergente” alla aletta antirollio posta su un lato dello scafo. Al sergente è collegato un cavo di acciaio
  • il pilota porta l’apparecchio sul lato opposto dello scafo; il secondo operatore collega il secondo sergente all’aletta antirollio
  • Agendo sui galletti filettati, il primo e il secondo operatore sganciano la testa esplosiva dal resto dell’apparecchio che rimane in forza sul cavo di acciaio esattamente al centro dello scafo in corrispondenza della chiglia. Il secondo operatore avvia le spolette a tempo
  • il pilota si allontana dall’obiettivo con a bordo il secondo operatore

Nelle due foto a sinistra il Semovente Tesei.

La foto in basso mette in evidenza la difficile posizione di guida dei due operatori durante la navigazione subacquea.

Alle prime versioni di questo speciale apparecchio vennero via via apportate tutte quelle migliorie che l’impiego durante gli addestramenti e nel corso delle missioni di guerra aveva suggerito, fino ad arrivare allo sviluppo di un mezzo completamente rielaborato. Tale apparecchio, denominato S.S.B. (Siluro San Bartolomeo, ovvero realizzazione curata dalla Aeroplani Caproni su specifiche dell’officina siluri di San Bartolomeo La Spezia), venne studiato dal Maggiore G.N. Mario MASCIULLI, con la collaborazione del Capitano G.N. TRAVAGLIANI (responsabile dell’officina segreta dell’Olterra) e con la consulenza dell’ingegner Guido CATTANEO della C.A.B.I. di Milano, su specifiche fornite dal Comando della Xa Flottiglia MAS.

L’ingegner Guido Cattaneo partecipò alle operazioni della Decima MAS in Mar Nero (Autocolonna Comandante Moccagatta, 20 maggio – 3 luglio 1942) meritando la Medaglia di Bronzo al Valore Militare con la seguente motivazione:

“Ufficiale richiamato, temporaneamente destinato in una base avanzata esposta all’offesa nemica, vi apportava con slancio l’efficace contributo della propria competenza tecnica, adoperandosi infaticabilmente per assicurare la perfetta efficienza dei mezzi navali.

Ripetutamente chiedeva ed otteneva di prendere parte a missioni in mare dimostrando in ogni occasione entusiasmo e serena noncuranza del pericolo”.

(Mar Nero, 20 maggio – 3 luglio 1942)

Rispetto all’SLC, ancorché ne ricalcasse i concetti generali, il nuovo mezzo speciale aveva una larghezza decisamente maggiore – la lunghezza e l’altezza erano rimaste pressoché invariate in quanto anche per l’SSB era previsto il trasporto sui sommergibili avvicinatori all’interno dei cilindri presso-resistenti -, una velocità ed una autonomia sensibilmente superiore- grazie ad un motore più potente e a batterie di maggiori capacità – e di un “pozzetto” ricavato nel corpo centrale del mezzo, protetto da una ampia carenatura. All’interno del pozzetto erano ricavati i posti di pilotaggio per i due operatori che sedevano su sedili in tandem.

Nel complesso ne scaturì un apparecchio di caratteristiche e prestazioni nettamente superiori a quelle dell’SLC: lo superava nettamente in velocità, autonomia, maneggevolezza e carico bellico, ma soprattutto era un apparecchio di più sicuro funzionamento generale e meno soggetto ad avarie meccaniche ed elettroniche.

Queste le sue caratteristiche generali secondo una scheda tecnica redatta probabilmente nel ’43 dalla Aeroplani Caproni:

Lunghezza fuori tuttom 6,76
Larghezza massimam 0,79
Altezza massima (esclusi operatori)m 1,08
Peso totalekg 2.200
Peso carica esplosiva testa normalekg 300
Peso carica esplosiva testa intermediakg 400
Peso carica esplosiva testa doppiakg 180/200

Sopra e a lato tre immagini del Siluro San Bartolomeo (SSB).

E’ bene evidente la notevole carenatura che protegge il pozzetto e la posizione seduta degli operatori notevolmente più confortevole rispetto di quella a cavalcioni dell’SLC.

Sotto: l’interno del pozzetto con la disposizione dei comandi e della strumentazione.