Attacco alla flotta russa

I recenti attacchi ucraini contro le unità della flotta russa hanno conquistato inesorabilmente gli onori delle cronache in tutto il mondo.

Ha destato particolare scalpore il filmato che mostra un drone colpire una nave da guerra russa nel Mar Nero. Le fonti giornalistiche riportano che la nave attaccata è la Olenegorsky Gornyak di stanza nel porto russo di Novorossijsk, città della Russia meridionale, nel territorio di Krasnodar, principale porto russo sul Mar Nero.

Il video dell’attacco

Nel filmato sopra riproposto, si vede chiaramente la prua di un piccolo natante che si avvicina ad una unità navale militare fino a schiantarsi contro il suo fianco sinistro.

Al di là dei drammatici eventi e di tutte le considerazioni tattico/strategiche sulla guerra in corso tra russi ed ucraini, di cui i più autorevoli commentatori ed esperti parlano fin dall’inizio del conflitto, il mio interesse, ed il senso di questo post, è maggiormente rivolto agli eventuali legami storici e alle analogie tra il drone ucraino e similari imbarcazioni del passato.

La Prima guerra mondiale

Rivolgendo la mia attenzione solo alle “armi” sviluppate a partire dalla Prima guerra mondiale, il primo esempio di natante guidato senza personale umano a bordo risale al tedesco “Fernlenkboot“, letteralmente “barca comandata a distanza“. La Fernlenkboot, conosciuta anche come FL-boot, era un motoscafo lungo 17 metri, capace di una velocità di 30 nodi, che poteva trasportare un carica esplosiva di 700 chilogrammi.

Barchino esplosivo Fernlenkboot in navigazione
Barchino esplosivo telecomandato Fernlenkboot

Immagine dal sito Covert Shores

La particolarità di questa imbarcazione stava tutta nel sistema di guida. Non avendo un equipaggio imbarcato, il natante veniva controllato da una stazione terrestre per mezzo di un cavo in bobina. La bobina, lunga 20 chilometri, era posizionato a poppa dell’imbarcazione e  pesava 800 chilogrammi.

I comandi a disposizione dell’operatore addetto al controllo del FL-boot erano:

  • Test del sistema
  • Avvio/arresto del motore termico
  • Controllo della timone
  • Accensione di una luce poppiera per consentire di visualizzare la posizione dell’imbarcazione di notte
  • Attivazione della carica esplosiva per evitare la cattura della barca.

Il sistema era stato sviluppato per essere utilizzato da una stazione di controllo terrestre, su nave o su dirigibile. Era previsto anche l’impiego di un aereo che avrebbe dovuto fornire indicazioni all’operatore addetto alla condotta della barca.

Come è facilmente intuibile, data la tecnologia disponibile all’epoca, i risultati ottenuti non furono eclatanti: l’unico risultato di rilievo risulta infatti essere il danneggiamento del monitore HMS Erebus.

Tra la Prima e la Seconda guerra mondiale: Ermanno e Beniamino Fiamma

Gli studi per dirigere imbarcazioni da remoto non si fermarono con il Fernlenkboot. Fin dagli anni ’20 in Germania, Francia e Inghilterra furono fatti degli esperimenti per radiocomandare delle imbarcazioni;  i tedeschi riuscirono a dirigere anche delle torpediniere.

In Italia Ermanno Fiamma e Beniamino Fiamma, due ingegneri inventori e collaboratori di Guglielmo Marconi, nel 1924 furono i protagonisti di un successo tutto italiano, riuscendo a controllare da remoto un MAS.

Già dal 1912 i due, in particolare Ermanno Fiamma, avevano iniziato a studiare la problematica che, perfezionata negli anni, portò al citato esperimento del ’24 a La Spezia. Posizionato il trasmettitore sul torrione della fortezza del Varignano (che al tempo era la sede della Scuola Radiotelegrafisti Semaforisti) i due inventori riuscirono a far navigare il MAS 223 ad una distanza tra i 4 ed i 30 chilometri. Per la bisogna il MAS 223 era stato dotato di due motori elettrici da 4 HP ciascuno che gli consentiva una velocità massima di 6-7 chilometri orari.

Di fatto il MAS 223, un motoscafo da 12 tonnellate, divenne il primo vero “Unmanned Surface Vehicle” (USV) ovvero la prima imbarcazione senza equipaggio radiocomandata.

Esperimenti di Ermanno Fiamma al VArignano

Gli esperimenti di Ermanno e Beniamino Fiamma al Varignano

Scuola Radiotelegrafisti Semaforisti del Varignano

La Scuola Radiotelegrafisti Semaforisti del Varignano

La Seconda guerra mondiale

Protagonisti incontrastati della Seconda guerra mondiale furono senza alcun dubbio gli Assaltatori della Decima Flottiglia MAS.

Come sappiamo la Decima era  costituita da 3 reparti operativi, il Reparto subacqueo, quello di Superficie e i Nuotatori Gamma.

Tralasciano i mezzi subacquei ed i Nuotatori Gamma non interessati da questa disamina, dovremo spendere due parole sui barchini esplosivi.

Non staremo qui a descrivere le caratteristiche tecniche o le operazioni ad essi legate, chi volesse approfondire può tranquillamente visitare le pagine del sito qui e qui.

Non essendo dotati di alcuna tecnologia di controllo remoto vi starete chiedendo cosa c’entrano i barchini esplosivi con questa storia.

In effetti niente e tutto!

Il fatto è che le tecnologie messe a punto con gli “M.T./M.T.M.” connesse alle operazioni condotte dagli italiani con queste imbarcazioni, sono stati il punto di riferimento per le principali Marine estere e quindi non possono non costituire un termine di raffronto.

Stiamo parlando degli inglesi con il loro “barchino esplosivo paracadutabile”, derivato dagli “M.T.” catturati intatti a Suda e a Malta (dei barchini italiani conservavano le caratteristiche generali e persino il particolare “piede poppiero”), anche se mai entrati in servizio.

Un Boom Patrol Boat (BPB) trasportato da un bombardiere Lancaster

Un Boom Patrol Boat (BPB) trasportato da un bombardiere Lancaster
Immagine dal sito Covert Shores

Barchino esplosivo Boom Patrol Boat (BPB)

Immagine dal sito Covert Shores

Anche la Marina Imperiale Giapponese con il loro “Shynyo”, realizzarono piccoli motoscafi esplosivi ispirati ai barchini italiani. Gli “Shynyo” vennero utilizzati nel ’45 per un attacco di massa contro la flotta di invasione americana nel golfo di Lingayen. L’azione colse di sorpresa gli americani che contarono numerose perdite tra i mezzi da sbarco e le navi trasporto.

Marina imperiale giapponese, Barchino Esplosivo Shinyo

Barchino Esplosivo Shinyo
Immagine dal sito Covert Shores

Barchino Esplosivo Shinyo

Immagine dal sito Covert Shores

La Kriegsmarine

E non ultima la Kriegsmarine la quale forte delle esperienze realizzate nella Prima guerra mondiale con il Fernlenkboot e, soprattutto, grazie agli importanti scambi addestrativi con la Decima MAS, i tedeschi realizzarono il “Linse”, un barchino esplosivo dotato di una carica di scoppio di circa 300 chilogrammi. Il “Linse” era del tutto simile all’“M.T.M.” italiano, ma si distingueva per la particolarità di essere radiocomandato da un motoscafo guida nell’ultimo tratto della corsa verso il bersaglio, dopo che il pilota si era lanciato in mare. Ogni due Linsen era previsto un motoscafo per la radioguida (Fuhurungs-Boot). Tre unità costituivano un Rotte (Gruppo).

Malgrado i modesti risultati ottenuti dai Linsen, questo barchino esplosivo rappresentò senza dubbio il primo vero “USV” impiegato per scopi bellici.

Linsen, versione tedesca dei barchini esplosivi M.T.M. della Decima Flottiglia MAS

Barchini Esplosivi Linsen, versione tedesca degli M.T.M. della Decima Flottiglia MAS

Linse, versione tedesca dei barchini esplosivi M.T.M. della Decima Flottiglia MAS

Barchino Esplosivo Linse
Immagine dal sito Covert Shores

In questa breve ma eccezionale sequenza video i Linsen in azione

Il dopoguerra

Nel dopoguerra a farla da padrone, soprattutto negli ultimi decenni, è stata fuor di dubbio l’elettronica che, con l’avvento delle comunicazioni satellitari e dell’optoelettronica, ha consentito un gigantesco balzo in avanti alla tecnologia del natante radiocomandato. 

Nel 2007 la Marina degli Stati Uniti avviò uno studio per la realizzazione di veicoli navali radiocomandati. I requisiti di impiego alle quali tali droni avrebbero dovuto rispondere furono individuati in: 

  • contromisura mine (MCM – Mine Countermeasures) 
  • antisommergibili (ASW – Anti-Submarine Warfare) 
  • sicurezza marittima (MS – Maritime Security) 
  • guerra di superficie (USV – Unnamed Surface Vehicle) 
  • supporto alle operazioni speciali (SOF-S – Special Operations Forces Support) 
  • guerra elettronica (EW – Electronic Warfare) 
  • supporto alle operazioni di interdizione marittima (MIO – Maritime Interdiction Operations).

Lo studio classificava questi veicoli, di varia forma e dimensioni, in:

  • X-Class”, una piccola classe di sistemi non standard in grado di supportare i requisiti SOF e le missioni MIO. Doveva fornire una capacità di intelligence, sorveglianza, ricognizione (ISR) “low-end” per supportare le operazioni con equipaggio e doveva essere lanciato da piccole imbarcazioni con equipaggio come un Rigid Hull Inflatable Boat (RHIB)
  • Harbor Class” un USV capace di assolvere missioni MS, con una robusta capacità ISR e un mix di armamenti letali e non letali.
  • Snorkeler Class”, un veicolo semisommergibile (SSV) di ~7 m capace di supportare missioni di traino (ricerca) MCM, ASW (Maritime Shield). Doveva anche essere in grado di supportare missioni speciali che possono sfruttare il suo profilo relativamente furtivo.
  • Fleet Class”, un USV capace di supportare le missioni MCM, ASW e Surface Warfare “di fascia alta”.

Per ovvie ragioni in questo post ci limiteremo a tentare un’analisi dei soli veicoli per la “guerra di superficie” ed in particolare a quelli realizzati ed impiegati dagli ucraini nell’attuale conflitto.

Per chi volesse approfondire la cronistoria degli USV vi rimando ad un interessante post di H.I. Sutton dal titolo “Una breve storia delle barche esplosive”.

NB: testi e foto riportati di seguito sono tratti dall’ottimo sito Covert Shores.

L’11 ottobre 2022 sul sito news.usni.org viene pubblicato un articolo di H.I. Sutton dal titolo “Suspected Ukrainian Explosive Sea Drone Made From Recreational Watercraft Parts”.

L’articolo racconta del ritrovamento di una piccola imbarcazione senza equipaggio rinvenuta in vicinanza della base russa di Sebastopoli nel Mar Nero.

Magura V5 ucraino

Il drone rinvenuto in prossimità della base navale di Sebastopoli nel Mar Nero

Immagine dal sito Covert Shores

Il Magura V5

Secondo H.I. Sutton l’imbarcazione, probabilmente un prototipo con lo scafo in alluminio, ha una propulsione a idrogetto spinta forse da un motore a benzina. L’idrogetto potrebbe provenire dall’azienda canadese Sea-Doo che produce e vende moto d’acqua da diporto in tutto il mondo.

Altro particolare di rilievo sarebbero i detonatori per lo scoppio ad impatto della carica posizionati sull’estrema prora dell’imbarcazione che potrebbero essere stati mutuati dalle bombe aeree “FAB-500” di fabbricazione sovietica.

Un recente aggiornamento di Sutton sul suo sito, riferisce che l’Ucraina avrebbe realizzato una 2ª generazione, leggermente più piccola ma con la stessa disposizione complessiva. Tale versione, designata con il nome di “Magura V5” potrebbe essere responsabile degli attacchi nel porto di Sebastopoli del marzo e del luglio ’23, a dimostrazione della notevole autonomia di questi droni.

Specifiche del Magura V5:

  • Lunghezza: 5,5 metri
  • Larghezza: 1,5 metri
  • Altezza sopra la linea di galleggiamento: 0,5 metri
  • Velocità: 22 nodi da crociera, 42 nodi max
  • Portata: 450 miglia nautiche (circa 833 km)
  • Carico utile: 320 kg
  • Comunicazioni e controllo: radio mesh con un ripetitore aereo o comunicazione satellitare. (in telecomunicazioni una wireless mesh network o rete mesh è una rete a maglie implementata tramite una wireless local area network (WLAN))

Immagine dal sito Covert Shores

Alcune considerazioni

Tornando indietro nel tempo c’é da chiedersi come mai gli italiani, malgrado le sperimentazioni tedesche di cui erano sicuramente a conoscenza, non abbiano progettato un motoscafo radiocomandato.

A mio modesto parere le ragioni per cui i Comandanti della Decima non seguirono i tedeschi potrebbero essere state dettate da vari motivi, il principale dei quali potrebbe essere che la tecnologia dell’epoca non consentiva reali benefici in ordine al raggiungimento dello scopo finale di un attacco: affondare una nave.

Analizziamo brevemente i diversi profili di attacco adottati da italiani e tedeschi:

M.T./M.T.M.: i barchini penetravano le difese nemiche, attendevano le prime luci per individuare con certezza i bersagli, quindi lanciavano il barchino a tutta velocità contro l’obbiettivo. Giunti a un paio di centinaia di metri dal fianco della nave, il pilota bloccava il timone e si lanciava in acqua salendo successivamente sullo zatterino. Il barchino, col timone bloccato, proseguiva la sua corsa fino ad impattare il fianco della nave. Il pilota cadeva sempre prigioniero.

I Linsen penetravano le difese, attendevano le prime luci dell’alba quindi lanciavano a tutta velocità le tre imbarcazioni, due delle quali destinate ad impattare il bersaglio. Giunti ad una congrua distanza i piloti si lanciavano in acqua e venivano recuperati dalla imbarcazione di controllo che li seguiva di conserva.

Attraverso il radiocomando i barchini esplosivi venivano guidati verso il bersaglio fino all’impatto. I piloti, a bordo dalla barca di controllo, rientravano in acque amiche e venivano recuperati.

Da questa breve esposizione credo traspaiano le due differenti filosofie di impiego.

Gli italiani, giudicando probabilmente più importante la certezza del conseguimento dell’obbiettivo, preferirono rinunciare al recupero dei piloti dopo l’attacco. Non è impossibile che i vertici della Decima giudicassero il sistema tedesco troppo macchinoso. Non credo infatti fosse particolarmente facile controllare una barca che sta navigando a forte velocità, in scarse condizioni di luce, da bordo di un’altra imbarcazione che si muove a sua volta in velocità e che ovviamente non può seguire la stessa rotta del barca che lo precede.

I tedeschi invece, forse coscienti del fatto che addestrare un buon pilota richiedeva tempo e energie, hanno probabilmente preferito cercare una soluzione che consentisse il recupero del personale attaccante.

Ad avvalorare questa mia considerazione riporto una frase di Fiorenzo Capriotti tratta dal suo libro “La mia Decima da Malta alle Hawai”:

“[…] Questo complesso di operazioni richiedeva un addestramento minuziosissimo. Bisognava controllare le frazioni di secondo e calcolare con esattezza i minimi spostamenti di rotta abituandosi a a tutte le condizioni di luce e a tutti i tipo di bersaglio. Ci allenavamo giorno e notte sino ad essere sfiniti e non ci allontanavamo mai dalla nostra base. Non avevamo franchigie né licenze. […]”.

E veniamo ai giorni nostri ed al Magura V5 ucraino

Si può paragonare il drone ucraino ai barchini esplosivi della Decima? Se si con quali risultati?

Una soddisfacente risposta a questi quesiti ce la fornisce un interessante post di Esteban Perez Bolívar pubblicato su “Zafarrancho Pódcast” il 30 ottobre 2022

“[…] Concentrandoci sul barchino ucraino, analizziamo le somiglianze e le differenze con il suo predecessore moderno: il motoscafo MT o barchino esplosivo.

Radici ricreative

Spinti dall’obbligo di contrastare un nemico potente in un contesto di scarsità di risorse, i costruttori di barchini esplosivi ricorrono al materiale esistente sul mercato, sempre proveniente dal settore turistico. Infatti l’acronimo MT indicava Motobarca da Turismo in quanto in realtà i primi prototipi erano imbarcazioni da diporto convertite. Mentre la barca ucraina sembra essere stata costruita ad hoc, il suo piede propulsore proviene dal jet ski canadese Sea Doo. Le barche Tamil e Houthi riportate da H. I. Sutton  nel quadro comparativo erano anch’essi modelli ricreativi modificati.

Capacità marinare

Circoscritte nel loro contesto, sia l’italiana che quella ucraina sono imbarcazioni velocissime. I prototipi italiani hanno raggiunto 32,4 nodi, una velocità che è migliorata quando si è scelto di installare un motore Alfa Romeo a 6 cilindri, 2.500 cc e 90 hp. Si pensa che anche l’imbarcazione ucraina sia motorizzata a benzina, come alcuni modelli di natanti prodotti da Sea Doo; se così fosse i barchini esplosivi ucraini potrebbero superare di gran lunga i 50 nodi, cioè viaggiano velocemente come un siluro.

Le alte velocità di questo tipo di imbarcazione limitano la loro manovrabilità. Anche se il piede propulsore italiano ruotava diciotto gradi per lato, poteva essere sollevato manualmente dal pilota, una caratteristica che permetteva alla barca di passare sopra i cavi o le catene che proteggevano i porti nemici. Il drone ucraino è ancora più liscio del barchino italiano, senza alcuna protuberanza nell’opera viva. L’autonomia di una MT era di tre ore a trenta nodi. Quella del barchino ucraino è sconosciuta ma, tenendo conto che non possono essere lanciate molto vicino a Sebastopoli, avranno bisogno di navigare per diverse ore per raggiungere il campo di battaglia.

Capacità offensiva

È in questa caratteristica fondamentale che troviamo più differenze, dettate dalla tattica di attacco impiegata dalla Decima Flottiglia MAS e dal Settantatreesimo Comando Operativo Navale ucraino (73rd Marine Special Operations Centre precedentemente chiamato 73rd Marine Spetsnaz Detachment).

La dottrina per l’uso degli M.T. si basava sulla furtività.

Gli attacchi ruotavano intorno alla sorpresa assoluta. I barchini dovevano essere trasportati da una nave madre e messi a mare in vicinanza delle difese nemiche. I barchini esplosivi dovevano continuare a bassa velocità (e quindi con poco rumore) fino alle vicinanze del porto da attaccare. Una volta lì dovevano superare, con lentezza e silenzio, sia le ostruzioni che la vigilanza. Una volta all’interno del porto, i motoscafi venivano lanciati alla massima velocità contro le navi ancorate in rada o ormeggiate ai moli. I piloti lasciavano le loro barche all’ultimo minuto, una volta che erano sicuri che il loro motoscafo si sarebbe schiantato contro il fianco.

Ma l’attacco non finiva lì. L’impatto contro lo scafo attivava un meccanismo che divideva il barchino in due. Metà prora, quella che aveva la testa in guerra, affondava. Una volta raggiunta una profondità pre-programmata in anticipo, un detonatore pressostatico scatenava l’esplosione.

La dottrina per l’uso dei droni navali ucraini si basa sulla deterrenza.

Kiev ha fondato la sua strategia navale nel negare l’uso del Mar Nero a Mosca. In un modo o nell’altro l’Ucraina ha fatto sapere alla Russia che è in possesso di un’arma piccola ed economica in grado di arrecare vasti danni alle sue preziose e mastodontiche navi da guerra. La tattica è andata così bene che il mezzo centinaio di navi della Flotta del Mar Nero hanno trascorso gli ultimi mesi rifugiate in porto. Solo la parziale distruzione del Ponte di Crimea ha riattivato la flotta.

Il sistema distruttivo di queste imbarcazioni è molto più semplice di quello di una MT in quanto consiste nel vecchio e semplice detonatore di contatto attaccato alla carica esplosiva. L’analisi della prima fotografia conosciuta indica -secondo H. I. Sutton- che le due protuberanze visibili sull’estrema prora siano detonatori da contatto estratte da bombe aeree sovietiche FAB-500, ancora presenti negli arsenali ucraini. […]

[…] perché il sistema distruttivo delle barche ucraine è meno potente e meno elaborato di quello italiano, non è forse un regresso tecnologico?

Assolutamente no, perché gli obbiettivi da attaccare sono molto diversi. A differenza delle navi russe di oggi, quelle della Royal Navy avevano scafi corazzati, alcune, come le corazzate della classe Queen Elizabeth, con sui fianchi addirittura cilindri antisiluro; una difesa passiva progettata per ridurre la potenza distruttiva di un’esplosione sui lati dello scafo. Il sistema italiano era progettato per far esplodere la bomba il più vicino possibile alla chiglia, dove la corazzatura non arrivava.

Il motoscafo ucraino non se la deve vedere con quelle vecchie corazze. Gli scafi delle navi della fine del XX e dell’inizio del XXI secolo hanno fatto a meno della corazza a vantaggio della velocità, della manovrabilità e dell’autonomia. Da questo deriva un’altra importante differenza: gli italiani erano costretti ad attaccare navi immobili. Una nave in movimento avrebbe lasciato la carica alle spalle, esplodendo sulla sua scia. Ai droni ucraini basta schiantarsi contro lo scafo, tuttavia, nello stile di un siluro, cioè il più perpendicolare possibile, qualcosa non facile da ottenere in battaglia.[…]”.


Al netto di alcune imprecisioni, una tra tutte la carica esplosiva dei barchini della Decima poteva essere regolata anche per scoppiare in superficie, l’analisi che ci propone Esteban Perez Bolívar è corretta in tutte le sue parti.

Ancora una volte una Marina indubbiamente più piccola e debole del suo avversario riesce a mettere alle corde potenti navi armate dalle migliori tecnologie militari disponibili sul mercato.

«…six Italians equipped with poor laughable materials, made totter the military balance in Mediterranean Sea, advantaging the axis

Winston CHURCHILL

Il 29 luglio 2023 la CNN sul proprio canale YouTube ha pubblicato un video che svelerebbe una nuova versione del drone navale ucraino che potrebbe essere una versione aggiornata del Magura V5.

Ancorché non se ne conoscano i dati tecnici reali la CNN, che ha potuto osservare da vicino il nuovo drone navale, riferisce che dovrebbe essere in grado di trasportare diverse centinai di chili di esplosivo e dovrebbe essere in grado di ricoprire distanze fino a 800 chilometri. Il drone dovrebbe essere in grado di condurre anche missioni di ricognizione e sorveglianza. Sempre la CNN riferisce che il nuovo drone navale è stato ideato e prodotto interamente in Ucraina con lo scopo specifico di attaccare le navi della flotta russa nel Mar Nero.

Di seguito il filmato.

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