Prologo dell’operazione G.A.4
Con il successo dell’operazione G.A.3, che causò il grave danneggiamento delle corazzate HMS VALIANT e QUEEN ELIZABETH, gli Incursori della Decima riuscirono a mettere in seria difficoltà la potente Marina inglese. Purtroppo però i bassi fondali del porto di Alessandria consentirono alle due corazzate di sopravvivere all’attacco; esse infatti affondarono solo di qualche metro poggiandosi sul fondo, mentre i ponti superiori rimasero emersi.
Nei giorni successivi all’attacco, la Valiant venne recuperata e trasferita in Sudafrica per i lavori di riparazione, mentre La Queen Elizabeth venne recuperata e messa a secco sul grande bacino galleggiante all’interno del porto.
Anche se ancora malridotta la Queen Elizabeth è pronta a riprendere il mare
Nell’aprile del ’42 le notizie dell’imminente trasferimento in Sudafrica della corazzata per ultimare i lavori di raddobbo, spinse il comando della Decima a pianificare una 4a operazione contro Alessandria. Con questa operazione si intendeva colpire nuovamente la corazzata e contemporaneamente minare l’operatività della potente base navale. Il porto di Alessandria, infatti, oltre all’unico bacino galleggiante presente in Mediterraneo capace di ospitare una corazzata, ospitava anche la nave appoggio-sommergibili Medway. L’inutilizzazione della Medway e la distruzione del bacino galleggiante avrebbe inferto alla base navale inglese un durissimo colpo.
All’operazione fu assegnata la sigla «G.A.4» e quale trasportatore fu scelto il sommergibile Ambra al comando del tenete di vascello Mario Arillo.
Ricalcando lo schema generale dell’operazione G.A.3, fu previsto che l’Ambra raggiungesse lo stesso punto utilizzato dallo Scirè per la fuoriuscita degli operatori, nelle ultime ore di luce.
L’operazione G.A.4
La navigazione finale al punto di rilascio degli equipaggi dei maiali fu effettuata come di consueto: procedendo in immersione sugli elementi di moto stimati (rotta e velocità) e basandosi sull’andamento dei fondali.
Purtroppo però, a causa di una intensa e non rilevata anormale corrente che probabilmente aveva influito sullo scafo per tutta la durata della navigazione, il sommergibile si ritrovò scarrocciato di qualche migliaio di metri verso ponente rispetto al punto pianificato. Effettivamente oggi sappiamo che l’Ambra effettuò la fuoriuscita degli equipaggi a circa 1,5 miglia a sud-ovest rispetto al punto stabilito, il che significa che il tragitto dei “maiali” per raggiungere l’imboccatura del porto si era accorciato di circa 2.500 metri. Questo fattore fu la causa determinante al fallimento dell’operazione!
SLC Feltrinelli – Favale
Obbiettivo nave appoggio-sommergibili Medway
La coppia Feltrinelli-Favale incontrò qualche difficoltà nell’estrarre il “maiale” dal tubo contenitore e perse perciò un po’ di tempo; una volta poi messo in mare, l’apparecchio rivelò dificienze di funzionamento tali da non poter essere impiegato. Feltrinelli fu quindi costretto ad affondarlo e a distruggere l’equipaggiamento personale. I due operatori riuscirono poi.a prendere terra a nuoto ed a portarsi in città eludendo la vigilanza delle sentinelle e dei posti di blocco. Presero quindi contatto con gli agenti italiani di Alessandria e poterono occultarsi per parecchio tempo. Furono infine individuati e catturati dalla polizia britannica il 29 giugno.
Il porto di Alessandria fotografato da un ricognitore tedesco nel maggio del ’42. Nel cerchio rosso la corazzata Queen Elizabeth è ancora al suo posto a conferma del fallimento dell’operazione.
Spaccarelli-Memoli
Magello-Morbelli
Obbiettivo (per entrambe le coppie): bacino galleggiante e corazzata
Le coppie Spaccarelli-Memoli e Magello-Morbelli, misero senza inconvenienti in moto i loro apparecchi, benché il vestito di Spaccarelli si fosse lacerato, e assunsero una rotta che, secondo loro, avrebbe dovuto portare all’imboccatura della base di Alessandria. I piloti dei due ordigni non sapevano però che l’Ambra era venuto in affioramento più a ponente del punto voluto e che di conseguenza la rotta da loro assunta, invece di portarli sulla «porta di Alessandria», li portava verso le scogliere che si elevano a ponente della città.
Spaccarelli e Magello furono inoltre ostacolati nel riconoscimento della costa sia dai proiettori che erano accesi a terra e che creavano sul mare un fastidioso effetto di chiarore, dando agli operatori la sensazione di poter essere scoperti da un momento all’altro, sia dalla corrente che alterava la velocità dei mezzi spostandosi in maniera anormale. Alla fine Magello preferì immergersi, ma poi girovagò tutta la notte senza riuscire a trovare il passo d’ingresso. Alle prime luci dell’alba i due piloti affondarono l’apparecchio e presero terra, nascondendosi nel relitto di un piroscafo semiaffondato, ma furono ben presto individuati e carburati da una imbarcazione egiziana.
Spaccarelli dal canto suo continuò a navigare in affioramento seguendo la rotta prestabilita. Percepì che la corrente era favorevole e poté apprezzare l’intensità: ma, ingannato dai proiettore che egli riteneva dislocati a levante del porto, venne trascinato più a ponente di quanto avrebbe voluto. Quando, finalmente, riuscì a localizzare la propria posizione, era troppo tardi per tornare indietro.
Ostacolati dalla corrente e da una imbarcazione di sorveglianza, risultati vani i sentivi di avvicinarsi all’entrata del porto, Spaccarelli e Memoli presero terra, dopo aver affondato l’apparecchio, alle prime luci dell’alba e finirono subito nelle mani degli inglesi.
Ancora un’immagine del porto di Alessandria ripreso dalla ricognizione tedesca nell’aprile del ’42. Sempre in rosso il bacino galleggiante con la corazzata oggetto dell’attenzione del comando della Decima.
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Armando Memoli
Sul numero 141 di «Storia Militare» di giugno 2005, è stato pubblicata una interessantissima intervista rilasciata da uno dei protagonisti dell’operazione G.A.4: Armando Memoli.
Nell’intervista Memoli ricorda le circostanze che gli consentirono di capire che durante l’avvicinamento al porto di Alessandria qualcosa non tornava.
Tutto inizia con l’operazione G.A.3 e il sommergibile Scirè dove lui, insieme a Spaccarelli, Feltrinelli e Favale, è imbarcato in qualità di operatore di riserva.
Memoli racconta che dopo aver rilasciato gli attaccanti lo Scirè si riportò in superficie per recuperare gli operatori di riserva Feltrinelli e Spaccarelli incaricati di chiudere i portelli dei cilindri. Ma a causa di un malore Spaccarelli non fece rientro a bordo, per cui il comandante Borghese fece uscire Memoli e Favale con il compito di ritrovare Spaccarelli e verificare la chiusura dei portelli. Ritrovato finalmente Spaccarelli esamina tra i cilindri, i due operatori lo riportarono immediatamente all’interno del sommergibile. Quindi Borghese tento l’immersione ma un portello ancora aperto (poppiero destro) costrinse il comandante ad una nuova emersione. Memoli fu di nuovo incaricato di fuoriuscire dal battello e tentare di chiudere il famigerato portello. Non riuscendovi – racconta – provvide ad aprire anche il portello di sinistra in modo da bilanciare la spinta. Fu in questa occasione che, prima di rientrare definitivamente a bordo, si soffermò per qualche istante ad osservare le luci di terra e, da buon marinaio, impresse mentalmente le loro reciproche posizioni.
Per saperne di più
Storia Militare nr. 141 – giugno 2005
Alessandria 1942: l’operazione “G.A.4”
Davanti Alessandria 5 mesi dopo
Fu questa circostanza che egli ricordò quando ebbe finalmente la possibilità di osservare la costa mentre il suo «maiale» navigava temporaneamente in superficie.
È sempre Memoli a raccontare di aver immediatamente capito che c’era qualcosa che non tornava. Il suo istinto di marinaio e l’osservazioni delle luci a terra – tra le quali il faro di Ras el Tin, acceso se pur a potenza ridotta – gli suggerivano che probabilmente si trovavano in posizione diversa da quella stimata: forse più ad ovest e più vicini alla costa. Memoli tentò invano di convincere il suo ufficiale, ma Spaccarelli, pur rendendosi conto che le luci di terra erano numerose, molto attive e disposte in modo inatteso, decise di proseguire sulla rotta ordinata.
E fu proprio Spaccarelli, nel dopoguerra, a confermare il racconto di Memoli. Egli nel 1961 scrisse:
[. . .] nessuno sospettò un errore di posizione. [. . .] Comunque il sergente Memoli ebbe un’intuizione. Egli consigliò di non seguire la rotta prescritta dall’ordine di operazione e di effettuare una puntata ricognitiva verso terra. Io invece decisi di attenermi allo schema predisposto.[. . .] Se io avessi seguito quel consiglio, si sarebbe potuto raggiungere il nostro obiettivo, cioe il bacino galleggiante da 35.000 tonnellate, due ore prima dell’ora prevista, perch6 in realta il punto dove eravamo stati “mollati” era incredibilmente vicino all’imbocco del porto.
Nell’analizzare i motivi che portarono al fallimento dell’operazione G.A.4 l’Ammiraglio Spigai (Cento uomini contro due flotte) individua nella mancata autorizzazione all’imbarco sull’Ambra del comandante Forza la causa principale del mancato successo. Secondo Spigai questa assenza determinò conseguenze gravi sulla riuscita dell’operazione in quanto se Forza si fosse trovato a bordo del sommergibile, si sarebbe certamente avveduto dello scarrocciamento del battello e ne avrebbe tratto le logiche conseguenze, indicando la variazione di rotta e tempi agli equipaggi dei maiali.
Spigai individua un’altra causa del fallimento nella scarsa dimistichezza delle tecniche di navigazione dei tre ufficiali piloti degli SLC. Egli scrive che “un navigante consumato non sarebbe caduto nell’errore da essi commesso perché avrebbe «annusato» la presenza del porto anche provenendo da una direzione sballata. Essi, prosegue Spigai, non erano naviganti di professione e non si può far loro colpa alcuna di essersi fatti fuorviare da istruzione precise in apparenza e sbagliate in realtà. Tale assenza di ufficiali qualificati in questioni di navigazione è da imputarsi a cause di forza maggiore”.
Infine, sempre secondo l’Ammiraglio, un terzo problema fu causato dalla “intensa vigilanza in atto e dal sagace impiego di proiettori puntati contro mare che impedì agli operatori di mettere in valore la poca esperienza nautica che possedevano per tentare di individuare il porto”.
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Cento uomini contro due flotte – Virgilio Spigai
Alla fine degli anni Cinquanta, ricevette dal primo Ammiraglio dell’epoca l’incarico di scrivere un libro sui mezzi d’assalto della Regia Marina, di cui tutti parlavano. Li andava celebrando anche il cinema. Serviva un “lavoro limpido, completo, obiettivo”, che Virgilio Spigai ha realizzato al meglio, nonostante la mole della documentazione da consultare.
In prima edizione nel 1959 e ripetutamente ristampato da allora, eccolo il lavoro dell’alto ufficiale, tecnico e storico della Marina, che dettaglia il percorso di tanti eroi (definirli tali è pienamente giustificato, senza retorica). È una storia che comincia con i violatori di porti della Grande Guerra.
I Mas di Rizzo a Premuda (10 giugno 1918), il Grillo, la “mignatta” di Paolucci e Rossetti, il siluro a lenta corsa di Tesei e Toschi, i barchini, e le operazioni della Decima Flottiglia MAS.
Senza esagerazione, un’opera monumentale quella di Spigai, che dovette affrontare non poche difficoltà. A un lavoro del genere, spiegava, si oppongono soprattutto tre complicazioni formidabili. Innanzitutto: non dimenticare niente e misurare tutto con lo stesso metro. Secondo: dal momento che i libri di storia sono noiosi, pensava di ovviare con il ricorso a frequenti rinvii alle fonti, senza “attaccare il bottone” e di concedere tregua al lettore “con qualche fattarello” ogni tanto.
Terzo gap da superare: evitare errori di carattere tecnico riconoscendo che, pur essendo ufficiale di Marina, avrebbe dovuto procedere con la massima attenzione, specie nel valutare certi apparati e certi progetti speciali.
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