Dapprincipio fu il motore di un ascensore recuperato in una discarica ed un vecchio siluro adattato alla bisogna. In seguito, grazie a quella grandiosa idea di Tesei e Toschi, fu una continua evoluzione che ha coinvolto le Marine di tutto il mondo.
Quello di cui vi voglio parlare oggi è solo uno dei tanti esempi di questa evoluzione. Si tratta di un “trasportatore speciale”, il “Carrier SEAL”, prodotto dalla inglese JFD (www.jfdglobal.com).
JFD è una società che opera in 80 paesi ed è specializzata in operazioni di salvataggio sottomarino, oltre che fornitore di attrezzature subacquee commerciali, sistemi di immersione in saturazione e servizi di supporto all’industria commerciale. Ovviamente con i suoi prodotti e i suoi servizi è presente nell’industria della Difesa.
Il Carrier SEAL
Il Carrier SEAL è un “trasportatore speciale” aviolanciabile, capace di navigare sia in superficie sia in immersione.
Secondo quanto riportato dall’azienda costruttrice, il “Carrier SEAL” è capace di trasportare 8 operatori, di cui 2 piloti, ed è stato pensato quale veicolo per l’infiltrazione e l’esfiltrazione tattica di un team completo di equipaggiamento (Marittime Special Operation). Inoltre il mezzo può essere impiegato come piattaforma per il dispiegamento di armi a comando remoto, per il dispiegamento o il recupero di sensori subacquei e per operazioni per contromisura mine.
Il veicolo è dotato di un sistema di propulsione ibrido. Per la navigazione in superficie è mosso da un motore diesel da 345 CV accoppiato ad un idrogetto Rolls Royce che lo spinge fino ad una velocità massima dichiarata di 30 nodi.
Il motore diesel è stato inserito all’interno di un involucro di acciaio inossidabile mantenuto a pressione costante. Ciò consente a Carrier Seal di passare alla modalità immersione senza soluzione di continuità. Il diesel può continuare ad essere impiegato anche in modalità semisommersa, grazie ad uno snorkel che gli consente di continuare a “respirare” senza rischi di “bere” acqua di mare.
Ovviamente quando il motore diesel è in funzione fornisce energia anche per la ricarica delle batterie ai polimeri di litio le quali alimentano due propulsori elettrici installati sullo specchio di poppa per la propulsione in immersione ad elica.
L’elevata velocità espressa in superficie è compensata da una performance minore in immersione, probabilmente a causa della particolare forma del suo scafo che ritengo di tipo planante. Infatti, se in superficie il mezzo può raggiungere i 30 nodi di velocità, in immersione la velocità massima raggiungibile è di 5 nodi che scende a tre nodi quale velocità di crociera, per una autonomia di 30 miglia.
Era la fine degli anni ’50 quando la flotta dei trasportatori speciali del GOI si arricchì di un mezzo speciale veramente all’avanguardia: il BIR 58.
Si trattava di una imbarcazione della lunghezza di 6,45 metri capace di trasportare 5 operatori e, udite udite, dotato di un sistema di propulsione ibrido. Il BIR 58, così chiamato in onore della MOVM Gino Birindelli che lo ha fortemente voluto, era equipaggiato con un motore termico, a benzina, di 45 CV e di un motore elettrico da 10 CV capace di imprimere al mezzo una velocità massima, in immersione, di 4,5 nodi ed una velocità di crociera di 3.5 nodi.
Il motore termico era completamente inscatolato ed era dotato di speciali valvole che potevano essere aperte a comando dal pilota, in modo da consentire il normale afflusso di aria per il funzionamento in superficie. Prima dell’immersione, le valvole venivano chiuse in modo da garantire la perfetta stagnatura del pacco motore. Il BIR 58 era in grado di navigare sul motore termico anche semisommerso, o come si usa dire al GOI, “appeso alle rapide“, grazie ad uno snorkel che poteva essere sollevato manualmente alla bisogna.
Le batterie erano ovviamente al piombo ed erano ricaricate dal motore termico durante la navigazione estendendo così l’autonomia in elettrico che era di 40 miglia nautiche.
Un esemplare di BIR 58 è oggi esposto nella “sala storica” del Gruppo Operativo Incursori a COMSUBIN.
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Bravo Mauro!