Continuiamo a sfogliare qualche pagina del libro di testo “addestramento al combattimento” (acqua) del Corso Ordinario, specialità Incursori, del 1962.

Quest’oggi affronteremo il tema dell’equilibrio idrostatico.


della serie “Nozioni del mestiere” leggi anche:


L’equilibrio idrostatico

Ogni uomo possiede un rapporto diverso tra peso e volume, pertanto deve trovare per proprio conto il proprio “equilibrio idrostatico”. Quando la ha trovato potrà trovarsi a mezza strada. Esiste tutta una serie di esercizi per trovare tale equilibrio.

Uno dei primi significativi esercizi che si fanno per determinare il proprio equilibrio idrostatico è il seguente. In acqua ci si mette sull’attenti badando a stare ben fermi (cioè non agitando gambe o braccia) e si trattiene il fiato dopo aver fatto una normale inspirazione.

Ci si può fermare in diverse posizioni; col mento al di sopra della superficie, oppure col naso appena al di sopra della superficie, oppure con i soli capelli che emergono, ecc.

In quest’ultimo caso si è avvantaggiati: si faticherà poco per scendere, occorrerà poca zavorra con l’autorespiratore, i movimenti saranno più sicuri e più efficaci.

Nel primo caso (quando si emerge con tutta la testa) invece si lavorerà maggiormente per scendere, e occorrerà un peso maggiore di zavorra con l’autorespiratore e i movimenti in acqua dovranno essere maggiormente curati per impedire un ritorno alla superficie.

Il gioco dei pesi

Quando si è conosciuto il comportamento del proprio corpo nel nuovo elemento, si può muovere in esso sfruttando il peso. Ad esempio per compiere una capriola sott’acqua non occorre che un colpo di reni o di braccia, poi entra in gioco il peso della testa, che trascina con sé, nella direzione e nel movimento voluto, il resto che segue docile e armonioso.

Le braccia dopo il primo impulso non devono essere usate, non per niente i pesci sono privati di arti, e le pinne, esclusa la coda, servono soltanto a dare l’equilibrio, e non l’impulso. Le braccia al subacqueo devono dare in genere soltanto equilibrio, non altro; il suo agente motore sono i piedi pinnati; la coda sta al pesce come le pinne natatorie stanno al subacqueo.

Il problema dell’equilibrio idrostatico non si può risolvere sulla carta, occorre provare e riprovare.

Non è detto che uno grosso galleggi e uno magro affondi: quello grosso può avere ossa pesanti e leggere quello magro; quello grosso poco volume polmonare, quello magro invece molto.

Come non è detto che chi abbia un metro di torace sappia e possa resistere più a lungo in apnea (stare in apnea = trattenere il fiato) di chi abbia un torace di 80 cm, una lunga apnea è dovuta a una superiore differenza tra circonferenza toracica nell’inspirazione e nell’espirazione; chi ha il torace anche di un metro può avere tale differenza di 2 0 3 cm e quindi elasticità minima. Niente si può dire prima di scendere in acqua, e ben poco si può sapere prima di sperimentarsi praticamente nel nuovo elemento e nello straordinario esercizio cui si è da esso obbligati.

Abbiamo accennato a molti problemi o questioni, apparentemente un poco a caso, ma in realtà con il preciso intendimento di introdurre i principi basilari dell’addestramento acquatico.

Infatti prima di incominciare gli esercizi, la cui difficoltà aumenterà gradatamente sino all’esecuzione di cose che al non esperto subacqueo sembrano impossibili, si deve avere ben compreso che sott’acqua, ove tutto è regolato da leggi fisiche precise, nulla può avvenire per caso.

La calma

E un’ultima fondamentale raccomandazione; in acqua bisogna essere CALMI, CALMI, CALMI.

Non si pensi che per far bella figura e per dimostrare somma perizia, sia necessario compiere velocemente ogni esercizio. Per bene agire sott’acqua è indispensabile educare insieme col fisico, anche il carattere. Colui che con movimenti scomposti e veloci si agita nel tentativo di immergersi, e riesce soltanto a eseguire inutili movimenti verrà certamente giudicato meno padrone di sé e dei propri mezzi rispetto a chi invece scende tranquillamente compiendo l’esercizio in sicurezza.

Meno affrettatamente si opera sott’acqua, più intelligentemente ci si comporta: infatti si spendono meno energie e quindi meno ossigeno, l’apnea si protrae e la carica dell’autorespiratore dura più a lungo.

Calma, dunque calma sino all’esagerazione. Chi compie un esercizio sott’acqua freneticamente in 30” e riemerge sfiatato, potrebbe averlo ben più tranquillamente ed efficacemente in 45”, riemergendo senza il minimo  affanno. Questa regola è da tenere sempre presente.

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