Immagini dal sito Beni Culturali di Solofra

Premessa:

L’intensità di un terremoto viene misurata mediante due scale: la scala Mercalli ideata dal sismologo Giuseppe Mercalli e la scala Richter dallo statunitense Charles Francis Richter.

La scala Mercalli indica, con valori da 1 a 10 in numeri romani, l’intensità del sisma basandosi sui danni arrecati alle strutture e allo sconvolgimento del suolo. La scala Richter misura, sempre con valori da 1 a 10, l’energia liberata cioè la magnitudo del sisma. Quello che colpì l’Irpinia domenica 23 novembre del 1980 alle ore 19:34’ 52” fu di magnitudo 6.9 Richter e X° grado Mercalli.

Magnitudo 6.9 Richter.

La stazione di Salerno è piena di gente, probabilmente tutte persone che rientrano alla propria sede lavorativa dopo un week end trascorso in famiglia o da una domenica passata sul bellissimo lungomare di Salerno.

È il 23 novembre del 1980, sono le 19:30 ed io sto aspettando il mio treno per Taranto previsto in arrivo tra circa venti minuti: un treno che non arriverà mai.

Penso alla prova che dovrò sostenere domani alla Scuola Sottufficiali per il superamento del “propedeutico IGP”, così si chiama il concorso per il passaggio in S.P.E. (Servizio Permanente Effettivo) previsto dall’arruolamento al termine della ferma da V6.

Sono seduto su una panchine del 3° binario e mentalmente ripasso la “tesi professionale” che ho preparato per l’occasione e sulla quale l’indomani qualcuno mi interrogherà; il titolo è “storia delle Forze Speciali”.

Improvvisamente il treno fermo sul 1° binario comincia a saltare e tutta la stazione a oscillare e sussultare violentemente.

Subito non realizzo cosa sta accadendo ma in una frazione di secondo si scatena il panico e le persone cominciano a correre fuori dalla stazione urlando: “il terremoto, il terremoto”!! Velocemente salto sui binari per portarmi fuori dalla pensilina, ho paura che mi possa cascare in testa e aspetto la fine della scossa fortissima che saprò poi durata 90 secondi.

Il telefono a Gettoni

Terminata la scossa prendo velocemente la mia valigia lasciata sul marciapiede e corro anche io fuori dalla stazione. Nella piazza antistante c’è tanta confusione. La città è al buio, ma da una rapida occhiata non vedo macerie; l’epicentro probabilmente è lontano dalla città.

La prima preoccupazione è la mia famiglia che vive in provincia di Avellino e che ho lasciato serenamente da qualche ora.

Cerco subito un telefono pubblico per sentirli: per i primi cellulari bisognerà aspettare gli anni 90. Con coraggio rientro nell’atrio della stazione e mi attacco al primo telefono pubblico a gettoni, fortunatamente ne sono ben fornito. Funziona. Compongo il numero. Squilla ma non risponde nessuno. Probabilmente anche i miei sono scappati fuori di casa. Provo e riprovo tante volte.

Dietro di me una coda di persone che aspetta il proprio turno per telefonare. Finalmente, poco prima di mezzanotte e dopo aver fatto la coda diverse volte, riesco a contattarli perché mio padre con una lunghissima prolunga ha portato il telefono in cortile. Stanno tutti bene. In piena notte mio cognato Lello viene a prendermi e mi riporta a Solofra.

Passiamo la notte nelle macchine, la paura è tanta e rientrare in casa non è prudente, ci sono forti scosse di assestamento.

Il giorno dopo, subito al mattino, contatto telefonicamente il COMSUBIN e racconto al mio Comandante del forte sisma e che non ci sono mezzi per raggiungere in tempo Taranto. Ho la patente, ma non ancora la macchina. Lui mi risponde: “ Zirpoli, fai l’impossibile, prendi anche un’aquila ma devi raggiungere Taranto”.

 24 ore di viaggio

In tarda mattinata mio cognato mi riaccompagna a Salerno. Intanto continuano le scosse di assestamento. Mi avrebbe portato a Taranto, ma c’è un treno in partenza con direzione Taranto nel primo pomeriggio anche se non me ne viene garantito l’arrivo a destinazione.

Con questo raggiungo a notte fonda la stazione di Potenza. Qui non riesco a contattare i miei per tranquillizzarli, la linea telefonica è interrotta.

Il personale di Ferrovie dello Stato mi informa che è stato organizzando un servizio autobus sostitutivo per il proseguimento.

All’alba del 25 novembre raggiungo in autobus la stazione ferroviaria di Metaponto da qui proseguo il viaggio in treno e nel primo pomeriggio arrivo a Taranto.

Trovo alloggio in un albergo nelle immediate vicinanze della stazione e riesco anche a contattare i miei, tranquillizzandoli. In stazione ho comprato dei panini che mangio in camera, ma il mio pensiero corre a Solofra, alla mia famiglia. Cerco, ma non riesco a concentrarmi sul concorso che dovrò sostenere domani.

La notte trascorre tranquilla, ma di dormire non se ne parla. Sono agitato e preoccupato. Le notizie date dai media sono disastrose: molte le vittime e tanta la devastazione perché il terremoto è stato fortissimo.

È il 26 di novembre e sono in ritardo di due giorni per il mio concorso. La sveglia richiesta alla Reception arriva all’alba quasi come una buona notizia.

Velocemente mi preparo, faccio colazione in albergo e in taxi raggiungo le Scuole Sottufficiali a San Vito. Fortunatamente, vista la grande calamità che ha colpito il Paese, la Commissione Esaminatrice mi ha aspettato e mi ha permesso di sostenere l’esame che supero senza problemi; mi chiedono anche del terremoto e delle difficoltà incontrare per raggiungere Taranto. Tra i membri della Commissione c’è in compenso un volto conosciuto, un Ufficiale “Basco Verde”.

Naturalmente a San Vito non incontro nessuno dei miei fra’, loro hanno sostenuto la prova due giorni prima.

Terminato il concorso con un autobus cittadino rientro in albergo dove ho lasciato le valige. In stazione mi informo su eventuali treni per Salerno e a Comsubin chiedo e ottengo qualche giorno di licenza da passare con i miei. Stando agli orari ferroviari e alle difficoltà dovute al terremoto decido di trascorrere la notte a Taranto e di ripartire l’indomani.

Il viaggio di ritorno è come quello di andata, in treno fino a Metaponto, con un autobus fino a Potenza e poi sempre in treno fino a Salerno.

E sempre mio cognato che viene a prendermi a Salerno. In un suo terreno sistemiamo un grande e vecchio pagliaio dove poterci vivere in attesa che la situazione si stabilizzi. La vecchia struttura è molto grande, ma anche la mia famiglia la è; la foderiamo con del robusto cellofan perché è freddo, siamo a fine novembre e non manca anche una modesta nevicata. Mi adopero per aiutare dei ragazzi venuti da lontano come soccorritori, con loro giro per il paese consegnando coperte, acqua, viveri e qualche parola di conforto.

Quello del 23 novembre del 1980 è stato un terremoto che ha provocato circa 3000 morti, 9000 feriti e 280.000 sfollati. Sono stati coinvolti 688 Comuni in una vasta area tra Campania e Basilicata¸ l’epicentro in Irpinia tra la provincia di Avellino, Salerno. A Solofra le vittime sono 34.

Con il passar dei giorni le scosse di assestamento diminuiscono di intensità e frequenza e dopo più di una settimana passata nel pagliaio ritorniamo alla nostra casa fortunatamente risparmiata dal sisma.

Al termine della licenza straordinaria rientro al Varignano dove gamma e autorespiratore mi attendono per nuove sfide.

Ma questa è un’altra storia.

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