Quando il 29 maggio scorso le agenzia di stampa hanno battuto la notizia di scontri durante una manifestazione di protesta a Zvecan, nel Kosovo settentrionale, dove sono rimasti feriti 30 militari della NATO – di cui 11 italiani del Nono Reggimento Alpini “Aquila” – vecchi ricordi ormai sopiti sono tornati a galla.

Eh si perché anche io sono stato in quelle terre nell’ormai lontano 1998, in forza alla “Kosovo Verification Mission”.

Ho pensato quindi di scrivere una paginetta per raccontarvi questa esperienza, sperando di fare cosa gradita.

Purtroppo non sono riuscito ad essere conciso. Così la paginetta è diventato un testo troppo lungo per un solo post per cui ho dovuto necessariamente dividerlo in tre parti.

Questa è la prima.

Suvvia prima un brevissimo, sicuramente impreciso, ripasso di storia

Le tensioni tra la comunità serba e quella albanese risalgono a tempi antichi, addirittura al 1877, quando gli albanesi furono espulsi dai territori e le aree furono incorporate nel Principato di Serbia. Le conseguenze di quell’atto furono un susseguirsi di gravi scontri e atrocità commesse da ambo le parti, in particolare durante la Prima guerra balcanica (1912-1913), la Prima guerra mondiale (1914-1918) e la Seconda guerra mondiale (1939-1945).

Agli inizi degli anni ’90, in un contesto di precaria stabilità, fece la comparsa sulle scene di quel drammatico teatro l’Esercito di liberazione del Kosovo (UÇK, Ushtria Çlirimtare e Kosovës), al comando di Adem Jashari. Il “braccio armato” dell’LPK, il Movimento popolare del Kosovo, si prefiggeva la creazione di una Grande Albania. Uno stato che, nelle loro intenzioni, doveva estendersi in Macedonia, Montenegro e nella Serbia meridionale. All’inizio poco attivo, il movimento indipendentista cominciò a sferrare i primi attacchi contro la polizia e le istituzioni statali a metà degli anni ’90. Tra le vittime anche i cittadini di etnia serba ed albanese accusati di “collaborazionismo”.

UCK-KLA

Ribelli e terroristi

A seguito di quegli attacchi le autorità serbe dichiararono ribelli e terroriste le forze dell’auto proclamato Esercito di liberazione, accusandoli di colpire indiscriminatamente forze di polizia e civili. Gli scontri deflagrano il 28 febbraio 1998 quando elementi dell’UÇK uccisero a Likosane alcuni ufficiali della polizia serba. Le ritorsioni delle forze speciali serbe furono immediate e violente. Un’offensiva con mezzi pesanti contro numerosi villaggi della Drenica, nel centro del Kosovo, provocarono, secondo le fonti, duemila vittime e duecentocinquantamila rifugiati.

A marzo Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti si riunirono nel cosiddetto “Gruppo di contatto”, un organismo politico creato in occasione del conflitto nella ex Jugoslavia. Di fatto la comunità internazionale condannò l’uso eccessivo della forza da parte della polizia serba e dei terroristi dell’UÇK. Pertanto, volendo dimostrare alle autorità di Belgrado “that they cannot defy international standards without facing severe consequences‘, il Gruppo di contatto decise di intraprendere un’ampia gamma di misure operative per affrontare la situazione con urgenza, considerate anche le implicazioni per la sicurezza regionale.

Nel luglio dello stesso anno, il portavoce dell’UÇK annunciò pubblicamente che l’Esercito combatteva per unificare tutte le terre abitate da albanesi.

La risoluzione ONU 1199

Si arriva così al 23 settembre 1998. In una escalation di violenze e accuse di esecuzioni sommarie e uccisioni di civili da parte delle forze jugoslave, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta la risoluzione 1199. Con essa la comunità internazionale esprime grave preoccupazione per gli “eccessi e l’uso indiscriminato della forza da parte delle forze di sicurezza serbe e dell’esercito jugoslavo” che, secondo le fonti, avevano provocato la fuga di oltre 230.000 persone dai territori contesi.

Il 16 ottobre 1998, in forza all’accordo tra NATO e governo serbo, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) è autorizzata ad operare nel territorio della Repubblica Federale di Jugoslavia per contribuire al rispetto e all’applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Kosovo Verification Mission Regional Center

Kosovo Verification Mission Regional Center

Kosovo Verification Mission HQ

Kosovo Verification Mission DHOM

Kosovo Verification Mission DHOM

Kosovo Verification Mission DHOM “operazioni”

La Kosovo Verification Mission (KVM)

Senza entrare nel dettaglio, con la Kosovo Verification Mission l’OSCE intendeva mettere in campo duemila “verificatori” disarmati con il compito di “viaggiare per il Kosovo allo scopo di verificare il mantenimento del cessate il fuoco ed il rispetto degli accordi stretti tra la Repubblica federale di Jugoslavia e le Nazioni Unite per porre fine alle atrocità in Kosovo e ritirare le forze armate dispiegate in quel territorio.” La missione sarebbe dovuta durare un anno.

A capo della Kosovo Verification Mission venne nominato l’ambasciatore americano William Walker. L’organizzazione della missione prevedeva 6 dipartimenti o “DHOM” (Deputy Head of Mission) a capo dei quali vi erano i rappresentanti dei Paesi del Gruppo di contatto.

La Norvegia

Era rappresentata anche la Norvegia in quanto Presidente (Chairman) di turno dell’OSCE, nonché Paese finanziatore dell’installazione del Quartier Generale (HQ) e della componente IT (elettronica, informatica e telecomunicazioni) dell’intera missione. All’Italia, inoltre, era devoluta la gestione del Centro di Addestramento (Induction Center) situato a Brezovica, in Slovenia. In questo centro dovevano transitare tutti i componenti della missione prima di essere introdotti nel territorio kosovaro. Nell’Induction Center il personale veniva addestrato all’uso di apparati GPS e al riconoscimento di trappole esplosive improvvisate e mine. Inoltre tutto il personale veniva indottrinato sulle norme del diritto umanitario.

Il dipartimento “Operazioni”, diretto dal Maj. Gen. Kj. Drewienkiewicz (UK), aveva il compito di assistere il Capo della missione fornendo informazioni accurate che consentissero di verificare che le parti in conflitto stessero rispettando i dettami della risoluzione ONU 1199; inoltre, implementato l’autogoverno dal Kosovo, avrebbe dovuto supervisionare le elezioni, l’impianto delle istituzioni democratiche in Kosovo e lo sviluppo della polizia.

Nell’organico del dipartimento “Operazioni” era previsto un “fotointerprete” (Imagery Analysis) e la Marina, più nello specifico il mio comando, pensò che io potessi assolvere l’incarico, malgrado il mio inglese fosse molto “beginner”, del tipo “the book is on the table, the cat is under the table”.

Fine parte 1 – segue…

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