Bandiera Repubblica Cispadana

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L’origine del Tricolore nazionale risale convenzionalmente all’utilizzo che ne fecero i giacobini italiani a partire dal 1796. Ufficialmente fu adottato il 7 gennaio 1797 dal Parlamento della Repubblica Cispadana, che si riunì a Reggio Emilia sotto l’impulso delle truppe napoleoniche che avevano occupato il Nord Italia. Si trattava di uno stendardo a bande orizzontali, con al centro l’emblema della neonata repubblica. Proprio in ragione di tale evento, con la legge nr. 671 del 31 dicembre 1966 emanata in occasione del bicentenario, il 7 gennaio è stato dichiarato “Giornata nazionale della bandiera“.

Al Tricolore sono riconosciute tre funzioni emblematiche:

• la “italianità“, quale individualità etnica e culturale del nostro popolo;
• la “sovranità” dello Stato, quale strumento di tutela dei bisogni e delle aspirazioni dei singoli e della collettività giuridicamente organizzata;
• il “sentimento della unione italiana“, quale coscienza di un vincolo che lega reciprocamente tutti i consociati, senza distinzione di fede e di ideologia.

Da qui il compito affidato alla bandiera di rappresentare “gli stimoli socio-morali che si collegano a ciascuna delle evidenziate funzioni“:

  • rinvigorire la coscienza dell’identità di italiano e l’orgoglio dell’appartenenza alla sua progenie;
  • cogliere il senso della solidarietà unificatrice che lega ciascun italiano agli altri connazionali;
  • avvertire la presenza costante della sovranità dello Stato, alla quale affidarsi.

Dalla coccarda alla bandiera

Coccarda TricoloreLa Bandiera Tricolore trae la sua origine dalla coccarda utilizzata dagli studenti bolognesi nei primi moti del 1794. I partecipanti indossavano una coccarda realizzata con tre fettucce di colore diverso, sull’esempio dello stesso simbolo utilizzato nella rivoluzione francese. L’unica differenza era in uno dei tre colori che la componevano: il verde al posto dell’azzurro. In origine pertanto, la disposizione dei tre colori era simile a quella della coccarda francese, con il verde al centro e il rosso all’esterno, come è dimostrato anche da uno dei rarissimi esemplari delle prime coccarde del 1794, conservata nel Museo dell’Università di Bologna.

Con la nascita della Repubblica Cispadana, i tre colori della coccarda furono riutilizzati per comporre la prima bandiera verde, bianca e rossa.

A fasi alterne

Il Tricolore ebbe alterne vicende durante gli anni della Restaurazione e del Risorgimento, fino a diventare bandiera del Regno di Sardegna nel 1848 e dello Stato italiano nel 1861. Ancora una volta la coccarda ne costituì una delle più tempestive rappresentazioni, essendo stata adottata sul cappello della divisa dell’Arma dei Carabinieri a seguito della circolare nr. 36 del 14 giugno 1848 del Ministero di Guerra e Marina, che dispose la sostituzione della coccarda azzurra (colore di Casa Savoia) sul tradizionale copricapo popolarmente definito “lucerna”, con “la coccarda ai tre colori nazionali italiani conforme ai modelli stabiliti”.
Nello stesso anno la coccarda tricolore trovò posto anche sui copricapo dei bersaglieri e del reggimento di cavalleria del Regno di Sardegna, sempre in sostituzione di quella di colore azzurro. Sui velivoli militari, invece, la coccarda fu introdotta durante la prima guerra mondiale per consentire il riconoscimento dei mezzi aerei italiani. La circolare dello Stato Maggiore Marina nr. 5886 del 28 ottobre 1916 prevedeva di verniciare le coccarde disponendo i colori verde, rosso e bianco centrale, su fondo rosso. Questa direttiva però non ebbe seguito, perché con disposizione rn. 37568 del 21 dicembre 1917 fu deciso di apporre sui velivoli coccarde secondo l’ordine tradizionale dei colori, cioè rosso all’esterno, bianco e verde all’interno.

Dagli anni venti e fino alla caduta del fascismo la coccarda tricolore non venne più utilizzata, per poi ritornare dal settembre del 1943, secondo la tradizionale sequenza di colori rosso-bianco-verde.

La Bandiera, simbolo dello Stato Repubblicano

Insieme all’Inno nazionale e al Capo dello Stato, oggi la bandiera è uno dei tre simboli dello Stato repubblicano. L’articolo 12 della Costituzione ne stabilisce le caratteristiche: “verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”.

Il Decreto del Presidente del Cosiglio dei Ministri del 14 aprile 2006 ha sancito all’articolo 31 la definizione cromatica dei colori e le caratteristiche del tessuto della bandiera italiana, indicando i codici Pantone tessile, su tessuto Stamina (fiocco) di poliestere: Verde 17-6153, Bianco 11-0601, Rosso 18-1662. L’eventuale utilizzo di altri tessuti deve produrre lo stesso risultato cromatico.

Dall’Alpi allo Stretto fratelli siam tutti! Su i limiti schiusi, su i troni distrutti Piantiamo i comuni tre nostri color!
Il verde, la speme tant’anni pasciuta;
Il rosso, la gioia d’averla compiuta;
Il bianco, la fede fraterna d’amor.

Dall’ode di Giovanni Berchet
All’armi! All’armi! (1831)

Giosuè Carducci

Reggio Emilia, 7 gennaio 1897

Popolo di Reggio, Cittadini d’Italia!

Ciò che noi facciamo ora, ciò che da cotesta lapide si commemora, è più che una festa, è più che un fatto. Noi celebriamo, o fratelli, il natale della Patria.

Se la patria fosse anche a noi quello che era ai magnanimi antichi, cioè la suprema religione del cuore, dell’intelletto, della volontà, qui, come nella solennità di Atene e di Olimpia, qui, come nelle ferie laziali, starebbe, vampeggiante di purissimo fuoco, l’altare della patria; e un Pindaro nuovo vi condurrebbe intorno i candidi cori dei giovani e delle fanciulle cantanti le origini, e davanti sorgerebbe un altro Erodoto leggendo al popolo ragunato le istorie, e il feciale chiamerebbe a gran voce i nomi delle città sorelle e giurate.

Chiamerebbe te, o umbra ed etrusca Bologna, madre del diritto; e te Modena romana, madre della storia; e te epica Ferrara, ultima nata di connubii veneti e celti e longobardi su la mitica riviera del Po.

E alle venienti aprirebbe le braccia Reggio animosa e leggiadra, questa figlia del console M. Emilio Lepido e madre a Ludovico Ariosto, tutta lieta della sua lode moderna; che “città animatrice d’Italia” la salutò Ugo Foscolo, e dal seno di lei cantava il poeta della Mascheroniana – La favilla scoppiò donne primiero Di nostra libertà corse il baleno.

Ma i tempi sono oggimai sconsolati di bellezza e d’idealità; direbbesi che manchi nelle generazioni crescenti la coscienza, da poi che troppo i reggitori hanno mostrato di non curare la nazionale educazione.

I volghi affollantisi intorno ai baccani e agli scandali, dirò così, officiali, dimenticano, anzi ignorano, i giorni delle glorie; nomi e fatti dimenticano della grande istoria recente, mercé dei quali essi divennero, o dovevano divenire, un popolo; ignora il popolo e trascura, e solo se ne ricordano per loro interesse i partiti.

Tanto più siano grazie a te, o nobile Reggio, che nell’oblio d’Italia commemori come nella sala di questo palazzo di città, or son cent’anni, il 7 gennaio del 1797, fu decretato nazionale lo stendardo dei tre colori.

Risuonano ancora nell’austerità della storia a vostro onore, o cittadini, le parole che di poi due giorni il Congresso Cispadano mandava da queste mura al popolo di Reggio: “Il vostro zelo per la causa della libertà fu eguale al vostro amore per il buon ordine. Sapranno i popoli di Modena di Ferrara di Bologna qual sia il popolo di Reggio, giusto, energico, generoso; e si animeranno ad emularvi nella carriera della gloria e della virtù.

L’epoca della nostra Repubblica ebbe il principio fra queste mura; e quest’epoca luminosa sarà uno de’ più bei momenti della città di Reggio.

Il presidente del Congresso Cispadano dicea vero. L’assemblea costituente delle quattro città segnò il primo passo da un confuso vagheggiamento di confederazioni al proposito dell’unità statuale, che fu il nocciolo dell’unità nazionale.

Quelle città che fin allora s’erano riscontrate solo su’ campi di battaglia con la spada calante a ferire, con l’ira scoppiante a maledire; che fino in una dissonanza d’accento tra’ fraterni dialetti cercavano la barriera immortale della divisione e dell’odio; che fino inventarono un modo nuovo di poesia per oltraggiarsi; quelle città si erano pur una volta trovate a gittarsi l’una nelle braccia dell’altra, acclamando la repubblica una e indivisibile quale spirito di Dio scese dunque in cotesta sala a illuminare le menti, a rivelare tutta insieme la visione del passato e dell’avvenire, Roma che fu la grande, Italia che sarà la buona?

Certo l’antico ed eterno spirito di nostra gente, che dalla fusione confluito delle varie italiche stirpi fu accolto e dato in custodia della Vesta romana dal cuore di Gracco e dal genio di Cesare, ora commosso dall’aura de’ tempi nuovi scendeva in fiamme d’amore su i capi dei deputati cispadani, e di essi usciti di recente dalle anticamere e dalle segreterie de’ legati e dei duchi faceva uomini pratici del reggimento libero, cittadini osservanti del giusto e dell’equo, legislatori prudenti per il presente, divinatori dell’avvenire.

E già a Roma, a Roma, si come a termine fisso del movimento iniziato , era volata nei discorsi e nei canti la fantasia patriottica; ma il senno ed il cuore mirò da presso il nemico eterno nel falso impero romano germanico, instrumento d’informe dispotismo alle mani di casa d’Austria; sicché prima a quei giorni risuonò in Reggio la non mai fin allora cantata in Italia reminiscenza della lega lombarda e di Legnano; sicché impaziente ormai d’opere la gioventù affrettò in Montechiarugolo le prove d’una vendetta di Gavinana.

Per ciò tutto, Reggio fu degna che da queste mura si elevasse e prima sventolasse in questa piazza, segnacolo dell’unico stato e dell’innovata libertà, la bella la pura la santa bandiera dei tre colori.

Sii benedetta! Benedetta nell’immacolata origine, benedetta nelle via di prove e di sventure per cui immacolata ancora procedesti, benedetta nella battaglia e nella vittoria, ora e sempre, nei secoli!

Non rampare di aquile e leoni, non sormontare di belve rapaci, nel santo vessillo; ma i colori della nostra primavera e del nostro paese, dal Cenisio all’Etna; le nevi delle alpi, l’aprile delle valli, le fiamme dei vulcani.

E subito quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la patria sta e sì augusta; il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l’anima nella costanza dei savi; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene nella gioventù de’ poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi.

E subito il popolo cantò alla sua bandiera ch’ella era la più bella di tutte e che sempre voleva lei e con lei la libertà; ond’è che ella, come la dice la scritta, piena di fati mosse alla gloria del Campidoglio.

Noi che l’adorammo ascendente in Campidoglio, noi negli anni della fanciullezza avevamo imparato ad amarla ed aspettarla dai grandi cuori degli avi e dei padri che ci narravano le cose oscure ed alte preparate, tentate, patite, su le quali tu splendevi in idea, più che speranza, più che promessa, come un’aureola di cielo a’ morienti e a’ morituri, o santo tricolore.

E quando tu in effetto ricomparisti a balenare su la tempesta del portentoso Quarantotto i nostri cuori alla tua vista balzarono di vita novella; ti riconoscemmo, eri l’iride mandata da Dio a segnare la sua pace co’l popolo che discendeva da Roma, a segnare la fine del lungo obbrobrio e del triste servaggio d’Italia.

Ora la generazione che sta per isparire dal combattuto e trionfato campo del Risorgimento, la generazione che fece l’Unità, te, o sacro segno di gloria, o bandiera di Mazzini di Garibaldi di Vittorio Emanuele, te commette alla generazione che l’unità deve compiere, che deve coronare d’idee e di forza la patria risorta.

O giovani, contemplaste mai con la visione dell’anima questa bandiera, quando ella dal Campidoglio riguarda i colli e il piano fatale onde Roma discese e lanciossi alla vittoria e all’incivilimento del mondo?

O quando dalle antenne di San Marco spazia su’l mare che fu nostro e par che spii nell’oriente i regni della commerciante e guerreggiante Venezia?

O quando dal Palazzo de’ Priori saluta i clivi a cui Dante saliva poetando, da cui Michelangelo scendeva creando, su cui Galileo sancì la conquista dei cieli?

Se una favilla vi resti ancora nel sangue dei vostri padri del Quarantotto e del Sessanta, non vi pare che su i monumenti della gloria vetusta questo vessillo della patria esulti più bello e diffonda più lieto i colori della sua gioventù?

Si direbbe che gli spiriti antichi raccoltigli intorno lo empiano ed inanimino dei loro sospiri, rallegrando ne’ suoi colori e ritemperando in nuovi sensi di vita e di speranza l’austerità della morte e la maestà delle memorie.

O giovani, l’Italia non può e non vuole essere l’impero di Roma, se bene l’età della violenza non è finita pe’ validi; oh quale orgoglio umano oserebbe mirare tant’alto?

Ma né anche ha da essere la nazione cortigiana del rinascimento, alla mercé di tutti; quale viltà comporterebbe di dar sollazzo delle nostre ciance agli stranieri per ricambio di battiture e di stragi?

Se l’Italia avesse a durar tuttavia come un museo o un conservatorio di musica o una villeggiatura per l’Europa oziosa, o al più aspirasse a divenire un mercato dove i fortunati vendessero dieci ciò che hanno arraffato per tre; oh per Dio non importava far le cinque giornate e ripigliare a baionetta in canna sette volte la vetta di San Martino, e meglio era non turbare la sacra quiete delle ruine di Roma con la tromba di Garibaldi sul Gianicolo o con la cannonata del re a Porta Pia.

L’Italia è risorta nel mondo per sé e per il mondo, ella, per vivere, deve avere idee e forze sue, deve esplicare un officio suo civile ed umano, un’espansione morale e politica.

Tornate, o giovani, alla scienza e alla coscienza de’ padri, e riponetevi in cuore quello che fu il sentimento il voto il proposito di quei vecchi grandi che han fatto la patria; l’Italia avanti tutto! L’Italia sopra tutto!

Giosuè Carducci,
7 gennaio 1897

Canti risorgimentali

E la bandiera di tre colori
sempre è stata la più bella:
noi vogliamo sempre quella, noi vogliam la libertà!

E la bandiera gialla e nera
qui ha finito di regnar,
la bandiera gialla e nera
qui ha finito di regnar.

Tutti uniti in un sol patto,
stretti intorno alla bandiera,
griderem mattina e sera:
viva, viva i tre color!

Dall’Ongaro, Cordigliani (1848)
1 commento
  1. Giovanni Libardo
    Giovanni Libardo dice:

    Questi ragguagli storici sono da diffondere perchè nel tempo e nello studio molti ricordi stanno svanendo. Buon lavoro

    Rispondi

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