Cosa sapevano gli inglesi
Prescindendo da possibili informazioni di carattere generale che potevano deriva da fonti di intelligence, di cui però non abbiamo molte evidenze, le prime notizie sull’esistenza di nuove armi, probabilmente subacquee, per l’attacco al naviglio nei porti, la Royal Navy le ricavò direttamente “sul campo” già a partire da terzo mese di guerra.
Le chiare foto aeree del sommergibile “avvicinatore” Gondar in affondamento al largo di Alessandria d’Egitto il 30 settembre 1940, mostravano chiaramente sulla coperta del battello tre inediti, grossi cilindri, evidentemente destinati al trasporto di “qualcosa”…; inoltre, navi britanniche trassero in salvo, oltre alle circa 45 persone che normalmente componevano l’equipaggio di un battello di quel tipo agli ordini di un tenente di vascello, ulteriori 9 naufraghi tra i quali un capitano di fregata, altri quattro ufficiali e altrettanti sottufficiali di cui ben tre della categoria “palombari”.
Si trattava del comandante Mario Giorgini – responsabile dei mezzi d’assalto, allora Sezione Armi speciali della 1a Flottiglia MAS – e dei sei operatori, oltre a due riserve, per i tre “maiali”.
Una circostanza che non passò certamente inosservata sollevando molti interrogativi tra i britannici.
La successiva serie di informazioni fu acquisita dalla Marina britannica già in occasione della prima azione fallita degli “S.L.C.” rilasciati dallo Sciré nella rada di Gibilterra il 29 ottobre 1940. La possibilità del ritrovamento da parte del nemico di relitti di semoventi subacquei, o di parti di essi, al termine delle azioni, era un rischio ben presente sin da subito ai comandi italiani dei mezzi d’assalto. D’altra parte, nonostante le installazioni predisposte (carichette esplosive) e le particolari procedure per l’auto-affondamento dei “maiali”, era inevitabile che non tutto potesse essere totalmente distrutto… Dei tre “S.L.C.” di quella sfortunata missione, tutti andati in avaria, uno fu recuperato quasi intatto dagli spagnoli, mentre il relitto, fortemente danneggiato, di un secondo fu ritrovato sul fondo del porto da palombari britannici. Inoltre, una coppia di operatori cadde prigioniera all’interno della base dopo aver attivato la carica del proprio mezzo precipitato irrimediabilmente sul fondo. Nonostante le pressioni esercitate sugli spagnoli dagli inglesi per farsi consegnare il semovente di cui questi erano venuti in possesso fossero andate a vuoto, è abbastanza probabile che questi ultimi siano riusciti a fotografare molti particolari.
Quelle immagini, confrontate con il relitto recuperato, e le dotazioni degli operatori catturati consentirono agli specialisti britanni di farsi una prima idea, anche se approssimativa, delle caratteristiche e delle modalità operative dei “maiali”. A questo scopo contribuirono anche talune notizie tratte dagli interrogatori degli operatori presi prigionieri che, sebbene volutamente distorte da questi, contribuirono anch’esse ad una miglior conoscenza dell’intero sistema d’arma. Le complete caratteristiche di questo mezzo – e anche delle attrezzature dei relativi operatori – verranno poi meglio rilevate nel luglio del 1941 quando i britannici vennero in possesso del relitto di uno dei due “S.L.C.” che avevano partecipato all’attacco a Malta. Sebbene il semovente fosse stato sabotato e ritrovato suddiviso in tre tronconi, il mezzo era sostanzialmente integro e dal suo studio poterono esserne ricavati rapporti e disegni assai particolareggiati.
Fu però solo dopo l’eclatante successo di Alessandria d’Egitto che, su spinta dello stesso Primo ministro Winston Churchill, la Royal Navy iniziò la realizzazione di un mezzo analogo, il “chariot” Mk 1, che divenne operativo nel settembre 1942 ed ebbe un impiego operativo breve, ma non privo di successi. Va peraltro tenuto presente che l’accertata esistenza dei nostri semoventi subacquei e la conoscenza di massima delle loro procedure di attacco non impedì l’impiego (e i successi) in quanto le installazioni e gli accorgimenti difensivi non poterono essere messi in atto a breve termine e comunque, pur senza essere risolutivi, costituirono un peso logistico ed economico non indifferente per il nemico. Cosa che, da sola, costituiva per i mezzi d’assalto il raggiungimento di un successo strategico di grande portata.
Il testo sopra riportato è interamente tratto dal libro “I MEZZI D’ASSALTO ITALIANI 1940 – 1945” di Erminio BAGNASCO, edito da STORIA MILITARE